La storia del ghetto ebraico di Mantova tra vergogna e speculazioni

MANTOVA. Giovedì 17 febbraio alle 16.15 nella sala Colonne del Centro Baratta, in corso Garibaldi 88, Paola Somenzi parlerà della trasformazione del quartiere ebraico di Mantova, un’area scomparsa.

Si partirà da una bolla di papa Paolo IV, del 1555, che aveva uno strano titolo: “Cum nimis absurdum”, che significa “Poiché è oltremodo assurdo”. L’assurdità, secondo il papa, era che ebrei e cristiani vivessero mescolati. Bisognava quindi separarli, circoscrivere gli ebrei in zone a loro destinate, i ghetti. Mantova arrivò in ritardo rispetto ad altre città. Si dice che il duca Guglielmo avesse bisogno degli ebrei che gli prestavano soldi, e per questo li lasciasse liberi. Ma suo figlio Vincenzo, nel 1612, fece costruire il ghetto nel centro della città.

Tra i vari obblighi imposti dalla bolla papale, gli ebrei non dovevano divertirsi, mangiare o conversare familiarmente con i cristiani. Insomma sì e no ciao. Guai poi, nei giorni delle festività cristiane, farsi vedere lavorare, loro e i dipendenti. Se un cristiano stava male, il medico ebreo doveva fare omissione di soccorso. Punibile era la cura. Naturalmente gli ebrei dovevano portare un segno distintivo, di colore turchese: un cappello gli uomini e un fazzoletto le donne. Apartheid. Poi la storia fece il suo corso. Alla fine del ’700, dopo l’apertura del ghetto, con la demolizione dei portoni e l’integrazione della popolazione ebraica con quella cristiana, molte famiglie scelsero di restare a vivere dentro i confini del loro vecchio quartiere, che si era popolato sempre più, creando nel tempo situazioni molto complesse. Per questo, dall’inizio del ’900 il Comune progettò un grande lavoro di sistemazione di quella zona del centro storico che per quasi due secoli era stata circoscritta e chiusa. Nella fase del cosiddetto “risanamento”, il Comune cercò di provvedere anche alla ricerca di soluzioni abitative alternative da proporre alle famiglie che non potevano permettersi l’acquisto di una casa in un quartiere nuovo.

Attraverso fotografie e documenti, Somenzi ripercorrerà la storia del ghetto seguendo le trasformazioni urbanistiche e cercando anche di capire le conseguenze che il risanamento creò dal punto di vista sociale: molte famiglie vennero costrette a lasciare il quartiere.

Gli abitanti della zona erano circa 500. Una parte, formata soprattutto da ebrei, era proprietaria. Molti di questi ricevettero un indennizzo per l’esproprio, che permise loro di trovare un’altra sistemazione. Le persone in affitto, invece, ebbero solo un risarcimento per la rescissione anticipata del contratto di locazione: dovettero dunque arrangiarsi per trovare un altro tetto. Gli speculatori erano all’opera. Nel 1904, attorno al quartiere da demolire era cominciato l’accaparramento di botteghe e appartamenti. L’incontro nella sala Colonne - nell’ambito della rassegna “Cultura alle quattro e un quarto”, organizzata dal Cinema del Carbone - è riservato agli over 60. La precedenza è per loro ma, nei limiti della capienza della sala, l’evento sarà aperto a tutti (basterà mettersi in lista d’attesa). Per prenotare: 0376-369860, email info@ilcinemadelcarbone.it.