Non votare è soltanto dargliela vinta, l’editoriale di oggi

MANTOVA. L’idea che il non voto sia una forma di protesta, non solo l’espressione di apatia o disinteresse o rassegnazione, contro una classe politica che delude è un errore. È un favore fatto proprio a chi si pensa di bocciare in toto prendendo le distanze dalla partecipazione e dall’esercizio di un diritto. Perché a loro nella sostanza poco o molto importa se a eleggerli è una percentuale alta o più bassa di cittadini: l’importante sarà questa notte poter cantare vittoria o trovare argomenti per nascondere o dissimulare una sconfitta.

Lo hanno dimostrato in queste settimane di campagna elettorale già deviata da tragiche e drammatiche contingenze che incidono certo su un’elezione imminente, ma in teoria non dovrebbero esaurire un programma di idee e anche di ideali come di azione politica che si immagina abbracci e duri cinque anni.

Tutte le forze in campo hanno finito (in molte anche iniziato) per parlare solo a chi ritenevano una truppa già assoldata, di cui rinserrare le fila, obiettivo non perdere pezzi. Non si è intuito un solo discorso rivolto appunto a chi (e si parlava di almeno il 40% degli aventi diritto) risultava, più che indeciso tra una parte o l’altra, pochissimo intenzionato ad affrontare le urne.

Lo si è fatto, chi in principio chi al rush finale, attingendo al più alla riserva di promesse cash, provando a sollecitare forse l’interesse spicciolo di coloro che cercano convenienza più che convinzione nel sondare chi aspira a governare. Esprimere il proprio voto è per questo ancor più un messaggio chiaro: non siamo in pochi a voler contare (anche poco), non avete cloroformizzato un Paese che vorreste vi lasciasse liberi di fare poco e disfare o confondere molto, alla nostra responsabilità garantita e sollecitata dalla democrazia non abbiamo abdicato.

Vi giudichiamo oggi e vi giudicheremo in futuro, sperando che anche un piccolo segno sulla scheda sia la semina per un raccolto ancora libero e comunque migliore.