La pecora dell’Alpago fa i conti con il lupo: «Quaranta allevatori hanno lasciato»
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foto da Quotidiani locali
La conca dell’Alpago aveva 10 mila pecore negli anni Sessanta. Oggi solo 2.500 e nel 2023 ne ha perse – perché sbranate dai lupi – ben 700. In 5 anni, da quando è presente il carnivoro, «abbiamo perso una quarantina di allevatori», riferisce Zaccaria Tona, «passati da 100 a 60 unità».
Tona è il presidente della cooperativa Fardjma, che sta frequentando ogni possibile convegno per lanciare l’allarme sulla prossima scomparsa della pecora alpagota.
«Nel 2022 era stata redatta una mappa ben precisa del territorio in Alpago, da parte dell’Università di Padova», dice. «Gli allevatori, con i loro micro greggi, pulivano 1.400 particelle di terreni prativi, tutti appezzamenti che si trovano in pendii scoscesi, dove i mezzi meccanici non arrivano per lo sfalcio. Oggi la desertificazione è già un dato di fatto».
In 5 anni la fecondità della pecora Alpago è passata dal 95% al 65%, un calo decisamente forte, dovuto allo stress subito dalla presenza del lupo. «Dopo una predazione, le pecore rimaste vive rimangono in un angolo tutte assieme per un paio di giorni, traumatizzate, senza brucare. Quando il lupo entra in un recinto di solito preda dalle 5 alle 15 pecore, per poi cibarsi al massimo di 7 chili di carne: un animale che si diverte a sprecare il cibo», puntualizza Tona, ricordando che l’allevatore è chiamato a pagare il conferimento delle carcasse. «Il 95% di questi allevatori sono hobbisti, come me, tengono le pecore per passione, per tenere puliti i propri prati e pascoli. È un’attività economicamente in perdita».
«Il nostro business core è l’agnello, il break even point (il punto di pareggio fra costi e ricavi) calcolato su greggi che contano massimo 100 pecore è pari 31 euro al chilogrammo La cooperativa commercializza questo prodotto di eccellenza a 14,50 euro», riferisce il presidente Tona. «Solamente il 5% degli allevatori è imprenditore agricolo, noi li possiamo contare su una mano. Loro dispongono di una quindicina di cani da guardiania a testa, tipo maremmano».
Il “rimprovero” che arriva da taluni ambienti soprattutto ambientalisti è che gli allevamenti mancano di protezione. «Tutti utilizzano le reti elettrificate da 1,45 metri», ribatte Tona, «per la maggior parte allestiscono la doppia rete creando un corridoio intermedio dove viene inserito il cane di notte. Il recinto viene spostato ogni giorno su nuovi pascoli per il benessere dell’animale e per la pulizia totale dei prati. In questo modo l’acqua piovana può scorre su tutto il pendio senza creare fratture o frane».
«Provate a portare sulle spalle», così Tona si rivolge agli animalisti, «rotoli di rete su terreni impervi, dove il solo camminare è già faticoso».
Il lupo è un animale intelligente, utilizza varie tecniche per entrare: salta la rete nei punti più favorevoli, oppure spaventa le pecore che a sua volta, tutte insieme, abbattono il recinto, inoltre riesce ad indirizzare di gran corsa un cervo o altri animali di peso verso la rete creando un varco.
La cooperativa Fardjma raggruppa una trentina di allevatori della pecora d’Alpago. Una razza antica di ben 1.200 anni. «Noi siamo favorevoli alla biodiversità, anche perché ne facciamo parte, ma tutto deve essere monitorato scientificamente», dice il presidente. «Fardjma è un termine dialettale oramai in disuso, indicava un momento ben preciso della fecondazione naturale che si svolgeva all’inizio dell’autunno, quando le pecore ritornavano a valle. Con l’inserimento degli arieti nei greggi, in media uno ogni 40 fattrici, si creava un vero trambusto, detto “far fardima”».
Gli allevatori, dunque, non pretendono la cacciata del lupo, ma il contenimento del numero dei predatori. In che modo? «I pallini di gomma, utilizzati solamente dai forestali si sono dimostrati un vero fallimento, per due motivi: il lupo non aspetta che arrivi la guardia; se colpito, il lupo va in altre zone, spostando problema».
In alternativa aspettano il protocollo d’intervento proposto dalla Regione all’Ispra, per la caccia al lupo confidente. E attendono pure che il Parlamento europeo decida, prima delle elezioni, il declassamento dello status di specie strettamente protetta. Ma – avverte Tona – l’Italia dovrà poi fare la sua parte. «Ci aspettiamo pertanto una decisa posizione da parte degli enti locali fino a livello regionale, anche se impopolare», conclude Tona.