Golf, US Open 2020: il percorso e le 18 buche ai raggi X. Alla scoperta del West Course del Winged Foot Golf Club di New York
La storia del golf ha più volte fatto capolino al Winged Foot Golf Club di New York, sede dello US Open 2020. Per la sesta volta si fa capolino il West Course, teatro di alcuni dei momenti più iconici della storia di questo Major, come il trionfo inatteso dell’australiano Geoff Ogilvy nel 2006 e i clamorosi doppi bogey tanto di Phil Mickelson quanto di Colin Montgomerie a segnare un torneo unico anche per aver fatto registrare, con +5, uno tra i più alti score del vincitore in epoca moderna (oltre al taglio di Tiger Woods, per la prima storica volta in un Major).
Andiamo a vedere, perciò, le caratteristiche del West Course, che, progettato da Albert Warren Tillinghast nel 1923, è stato rinnovato molto di recente, nel 2016, da Gil Hanse (lo stesso uomo che, con Jim Wagner, ha dato vita al percorso delle Olimpiadi di Rio 2015).
BUCA 1 – Genesis: Par 4, 412 metri. Nel 1974 (che sarebbe diventato noto come “Il Massacro a Winged Foot”, con Hale Irwin vincitore in +7), Jack Nicklaus spedì un putt fuori dal green (protetto da un bunker a sinistra). Questo per rendere l’idea di come questo sia un inizio complesso. Proprio il green, con il suo scalino nella parte iniziale e le sue pendenze, è tra i più difficili del percorso.
BUCA 2 – Elm: Par 4, 443 metri. Il green è particolarmente ampio, ma in questo caso sono due le particolari criticità: la prima è legata al bunker di sinistra che si rischia di colpire con il tee shot, la seconda a un albero di oltre 30 metri d’altezza che in determinate situazioni può finire per ostacolare chi colpisce male verso il green.
BUCA 3 – Pinnacle: Par 3, 222 metri. Il nome è dato dal green a due livelli, che normalmente viene attaccato in maniera diretta. Qualcuno, però, nel 1959 la pensò diversamente: Billy Casper decise di approcciare deliberatamente corto, fuori dal green, per poi giocare un approccio facile vicino alla bandiera e trovare il par in tutte le occasioni. Va fatta attenzione ai bunker ai lati.
BUCA 4 – Sound View: Par 4, 427 metri. Questa buca è stata rinnovata nel 2016, con il green dotato di una depressione al centro e considerato, in rapporto agli altri, uno dei più benigni del percorso. Su questo par 4 ci si trova di fronte a un dogleg che va verso destra, con il fairway che nella prima metà ha due bunker ai fianchi; altri due ce ne sono ai lati del green, ampliato proprio con il rinnovamento di quattro anni fa.
BUCA 5 – Long Lane: Par 4, 459 metri. Anche questa recentemente rinnovata, era par 5 nel 2006 (allo stesso modo, l’ex par 4 della 9 è diventato par 5). Non si riesce a vedere bene dove atterra la pallina dal tee. Non particolarmente semplice uscire dai bunker vicino al green. Nel programma del 1923 di questa buca si diceva: “Una collinetta che sembra un museo”.
BUCA 6 – El: Par 4, 293 metri. Dei par 4 presenti su questo percorso, è il più corto. Qualcuno potrà tentare un approccio estremamente aggressivo, tirando direttamente verso il green con il drive, ma sono tante le incognite: lo stretto corridoio del fairway, un bunker davanti al green che non promette nulla di buono se centrato.
BUCA 7 – Babe-in-the-Woods: Par 3, 149 metri. In questo caso, siamo di fronte alla buca più corta delle 18. I bunker davanti e di fianco al green sono più profondi di due metri rispetto all’altezza del green stesso, ed è questa una delle grosse difficoltà da superare, o più semplicemente da evitare. Nel 1974 Johnny Miller ci mise quattro colpi a uscirne, salutando le sue chance di vittoria.
BUCA 8 – Arena: Par 4, 448 metri. Parte del rinnovamento del 2016 (soprattutto a livello di green), non ha nulla di semplice. Il tee shot si tira a sinistra, ma meglio non andare con troppa potenza, altrimenti si rischia di inciampare in un ampio bunker posto appena oltre la metà. Si tratta di una buca di precisione.
BUCA 9 – Meadow: Par 5, 517 metri. Come accennato, si è scambiata il par con la Long Lane. Una di quelle buche in cui le alternative sono due: cercare di arrivare al green in sicurezza, con tre colpi, o provarci in due. In questo caso è decisamente più alto il rischio di finire nei bunker, in particolare quello a destra che protegge il green, che ne è peraltro circondato.
BUCA 10 – Pulpit: Par 3, 196 metri. Ben Hogan, che agli albori a Winged Foot non ha mai vinto, l’ha definita “un ferro 3 nella camera da letto di qualcuno”. I bunker intorno al green qui sono profondi oltre due metri e mezzo, ma non sono l’unico problema: molto dipende anche dal piazzamento della bandiera, che può portare a svariate scelte. Si tratta dell’unica buca che si gioca verso ovest nel percorso.
BUCA 11 – Billows: Par 4, 351 metri. Abbastanza gestibile, anche se non va sottovalutato il fatto che la superficie del fairway scenda da destra a sinistra. Non semplicissimo il green, irregolare nella forma, che tende a salire (o a scendere se lo si approccia molto in là) e che ha tre bunker ai lati.
BUCA 12 – Cape: Par 5, 579 metri. Nei disegni di Tillinghast, questo era un grande classico: buca lunga, con doppio dogleg. Fondamentale, con il secondo colpo, riuscire a superare senza problemi l’albero di circa 25 metri che blocca la visione chiara del green, così come evitare, poco più avanti, il bunker di destra. Nel 2006, sulle 437 volte in cui è stata affrontata, si è avuto un solo eagle.
BUCA 13 – White Mule: Par 3, 194 metri. Importante in questa fattispecie andare a cercare la parte giusta del green, a seconda di dov’è la bandiera, poiché le differenze nelle pendenze possono provocare serie difficoltà nel riuscire ad avere perlomeno due putt facili per chiudere.
BUCA 14 – Shamrock: Par 4, 413 metri. Il green qui si trova in una posizione più innalzata, ma con un paio di bunker (soprattutto quello centrale proprio davanti) a fare buona guardia. Dal tee shot la scelta è tra l’approccio aggressivo, con cui si rischia di andare nei bunker ai lati della parte iniziale del fairway, e quello più di strategia, per la sicurezza.
BUCA 15 – Pyramids: Par 4, 389 metri. Le difficoltà qui crescono, e soprattutto con il primo colpo più si va in là e più si prende la parte in discesa del fairway, con la conseguenza che il green si vede di meno. Proprio il green è particolarmente lungo, e ci sono tante ondulazioni che possono dare seri problemi a tanti. Due i bunker posti ai fianchi.
BUCA 16 – Hells-Bells: Par 4, 455 metri. Dogleg tutto a sinistra in questo caso. Il primo colpo deve forzatamente arrivare nella zona del cambio di direzione, con il secondo vanno evitati sia il bunker a destra che i molti alti alberi a sinistra, in una combinazione caratteristica di questo percorso.
BUCA 17 – Well-Well: Par 4, 461 metri. La zona dove atterra il colpo iniziale con il drive, così come il livello dei bunker sul fairway, si trovano più in basso del tee stesso. Qui Ogilvy, nel 2006, ha trovato il chip in con il quale ha costruito la sua vittoria poi propiziata dal crollo congiunto di Mickelson e Montgomerie.
BUCA 18 – Revelations: Par 4, 429 metri. Di tutti i nomi delle buche, forse questo è il più appropriato. Il dogleg a sinistra esige un ottimo colpo dal tee, che non vuol dire aggressivo perché si rischia di finire nel rough o, peggio ancora, nel primo dei due bunker a destra. C’è una fortissima pendenza a inizio green, di quasi due metri, ed è qui che nella storia del percorso tantissime cose sono accadute, in un senso o nell’altro.
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federico.rossini@oasport.it
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Foto: LaPresse