Francesco, l’ultimo campanaro di Udine: «Il mio bisnonno ha fondato la fonderia Broili nell’800»
foto da Quotidiani locali
UDINE. Sorgeva lungo viale Volontari della Libertà, nel pieno centro di Udine, tra le vie Pordenone e Maniago: da tempo non ne esiste più traccia – al suo posto c’è oggi un condominio –, tanto che dell’antica Fonderia Bronzo Broili, attiva dagli anni Quaranta dell’Ottocento ai Settanta del secolo scorso, specializzata nella fusione di campane e così rinomata da ricevere commesse da tutta Italia e dall’estero, resta solo una flebile memoria storica, patrimonio ormai di pochissimi.
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Il custode Francesco
Suo custode per eccellenza è l’84enne Francesco Broili, l’ultimo protagonista di una florida pagina imprenditoriale apertasi sotto la guida del capostipite Sebastiano – il bisnonno di Francesco, che avviò l’attività insieme al socio Giovanni Battista De Poli –, contrassegnata da una folta serie di successi e passata, nel Novecento, attraverso due autentiche età dell’oro, nei dopoguerra, quando l’esigenza di rimpiazzare le campane razziate durante il primo e il secondo conflitto mondiale per far fronte alle necessità belliche generò un boom nella produzione di settore.
La produzione
«Si lavorò tantissimo: andavano riempiti tutti i campanili rimasti vuoti», racconta il depositario di una tradizione incredibilmente carica di spunti, per un profano miniera di scoperte, per Francesco invece pane quotidiano fin dall’infanzia e, conseguentemente, materia assimilata a tal punto da apparire quasi scontata, pur restando inesauribile fonte di passione e di orgoglio.
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Lo si coglie dal trasporto con cui svela che sono a firma Broili sia il campanone in tonalità La bemolle della Porziuncola di Assisi (il più grande creato nello stabilimento: un colosso di oltre 2 metri di altezza, per 5.280 kg, data di nascita 1954) che quello del Duomo udinese (1852) e dall’entusiasmo con cui indica due cimeli scampati alla strage delle campane e custoditi nella sua casa, a Udine, piccolo “sacrario” di una vita scandita dalle fusioni e dai rintocchi: «Questi esemplari – dice, puntando l’indice verso il corridoio e il terrazzo – li salvò mio padre. Erano pezzi raffinati, sarebbe stato un sacrilegio che si trasformassero in cannoni». E aggiunge: «Ma lo sapete quante ore di impegno ci sono dietro una campana bella e finita? Con decorazioni del genere?».
La costruzione di una campana
Tante, se non tantissime. Per le più grandi serve almeno un mese, ed è questa – insieme agli alti costi e al progressivo venir meno di maestranze qualificate – una delle ragioni alla base dell’addio alle scene di Francesco, che nei primi anni Settanta cedette la ditta di famiglia ad alcuni ex dipendenti, guidati da Leonello Rubazzer. Sta di fatto che fino ad allora, con fisiologiche evoluzioni dell’attività, la Broili – arrivata alla quindicina di operai – continuò ad operare su tutto il territorio nazionale, trovando un bacino particolarmente fertile in centro Italia, fra Toscana, Umbria e Marche.
Superato l’exploit della produzione, il calo delle commesse («Una campana dura sostanzialmente a vita: ne vengono ordinate di nuove solo in caso di rottura, perché la campana fessa non è riparabile») fece virare l’operatività dell’azienda sui sistemi di elettrificazione, per l’attivazione a comando dei rintocchi, e sulle incastellature.
«In Toscana – spiega il “maestro” – ne abbiamo installate tante. Il problema era intercettare i preti, sempre presi in mille faccende: introvabili. Finché scovai l’espediente». Che con le campane non aveva niente a che fare: «La mia macchina sportiva!», svela Broili, ancora divertito. «Alcuni sacerdoti appassionati di motori non chiedevano altro che poterla guidare: in cambio mi facilitavano l’accesso alle parrocchie, agevolandomi non poco nel lavoro. In ogni zona avevo un riferimento».
Le campane in giro per l’Italia
E mentre la chiacchierata con l’erede della fonderia prosegue fra indovinelli («Perché i campanili delle zone montane hanno gli scuretti?»), “interrogatori” sulle leghe metalliche e nozioni sulle modalità di suono («Qui da noi c’è il “din don dan”, giusto? Cioè rintocchi in sincronia. In Toscana le campane sono lasciate libere, in Piemonte e Lombardia funzionano all’ambrosiana, con oscillazioni molto più ampie»), affiorano memorie legate a un’attività secondaria della ditta: «Abbiamo realizzato anche le lastre in bronzo per alcuni gradoni della scalinata di Redipuglia; e piastre in ottone per il sacrario dei caduti d’Oltremare di Bari».
Gli antenati, per parte loro, avevano gettato solide basi alla produzione: nel 1866, per citare solo un esempio, i soci De Poli e Broili decisero di aprire una succursale a Gorizia, per poter dare risposta alla crescente richiesta di un mercato gradualmente allargatosi fino all’Istria e alla Dalmazia.