Lei gli rifiutò una carezza, lui la uccise a coltellate: inflitti 24 anni al marito

Paolo Castellani dovrà anche risarcire i danni alle due figlie e alla suocera

Il rifiuto di una carezza le è costato 71 coltellate. Elisabetta Molaro aveva 40 anni, non era più innamorata del marito e voleva separarsene, e lui, che nella sua stanza era entrato già armato, l’ha colpita a morte.

Anche Paolo Castellani, che ora ha 45 anni, ha pagato un prezzo per la notte in cui distrusse la sua e la loro famiglia. Reo confesso e in carcere dalla mattina successiva, è stato condannato a 24 anni di reclusione e al risarcimento dei danni alle figlie minorenni, cui, da allora, della mamma non resta che l’amato ricordo, e alla suocera, la prima cui telefonò con le mani ancora intrise di sangue per annunciare il delitto. «Pronto, o ai copade to fie», le disse.

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Sei ore per il verdetto

La sentenza per l’omicidio commesso la notte tra il 14 e il 15 giugno 2022, nella villetta di via delle Acacie 5, a Codroipo, dove la coppia abitava con le bambine, è stata emessa nel pomeriggio di ieri, dalla Corte d’assise di Udine presieduta dal giudice Paolo Alessio Vernì (a latere, il collega Paolo Milocco e i sei giudici popolari), all’esito di quasi sei ore di camera di consiglio.

Il pubblico presente, formato soprattutto da amici di Elisabetta e della sua famiglia, tutti o quasi con la spilla di una coccarda rossa sul petto, a simboleggiare il contrasto alle violenze sulle donne, ha reagito con sorpresa alla lettura del dispositivo: l’attesa era per una pena più alta. La madre della vittima, Petronilla Beltrame, costituitasi parte civile con l’avvocato Federica Tosel, in particolare, si è commossa manifestando la propria delusione.

Assenti i genitori dell’imputato, che in mattinata avevano invece assistito alla discussione. Il giorno prima, era stato lo stesso Castellani a prendere la parola, per dirsi dispiaciuto dell’«astio» nutrito ancora nei suoi confronti dalla suocera.

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Delitto con dolo d’impeto

A essere recepite non sono state soltanto le richieste della Procura, ma anche una delle istanze della difesa.

Nel proporre a propria volta una pena di 24 anni, il pm Claudia Finocchiaro, che ha precisato una volta per tutte nella crisi coniugale il movente del delitto, aveva infatti tenuto conto della diminuente prevista dalle circostanze attenuanti generiche, ritenendo – così come confermato in sentenza – potersi concedere all’imputato in regime di equivalenza con le contestate aggravanti del rapporto di coniugio e della crudeltà (di per sé altrimenti sufficienti a infliggere l’ergastolo), in ragione della sua incensuratezza e della collaborazione dimostrata sia in fase di indagini preliminari, sia nel prosieguo del procedimento.

Dal canto loro, gli avvocati Paolo e Alice Bevilacqua avevano insistito per l’esclusione dell’aggravante della crudeltà e così è stato. «Non c’è stata efferatezza e neppure gelosia, ritorsione, premeditazione – aveva sostenuto la difesa –. Le coltellate inferte sono contestualizzate e conseguenziali alla tempesta emotiva.

La crudeltà non si ravvisa dal numero dei colpi, ma dalla volontà di umiliare e seviziare la vittima. Questo delitto è stato commesso con dolo d’impeto».

La richiesta di risarcimento

Castellani, nei confronti del quale è stata disposta la sospensione durante la pena dell’esercizio della responsabilità genitoriale e che è stato dichiarato «indegno a succedere» alla moglie, dovrà risarcire le figlie e la madre della vittima nella misura che sarà stabilita in separato giudizio civile.

Intanto, però, verserà una provvisionale di complessivi 500 mila euro a favore delle bambine. Nell’evidenziare come nessuna cifra potrà mai pagare il danno patito, compreso quello di avere condannato due bambine a crescere senza una madre e odiando il padre, l’avvocato Tosel aveva indicato il risarcimento rispettivamente in un milione di euro l’una e in 500 mila euro.

Immaginando con la sua arringa di tornare sul luogo del delitto, in quella che ha definito la «stanza della mattanza», il legale aveva evidenziato la «lucidità» con cui il marito aveva agito, «ripulendo il proprio cellulare delle chat che non voleva fossero trovate» e telefonando alla suocera e poi al 112, «con una menzogna elaborata e assolutamente orientata nello spazio e nel tempo».

La personalità di Castellani

«Castellani ha il diritto di tenere la fede: la sua non è esibizione, perché è nella famiglia che ha realizzato il suo sogno», ha esordito l’avvocato Paolo Bevilacqua, in apertura d’arringa e in risposta alla collega di parte civile che, rivolgendosi all’imputato, lo aveva invitato a sfilarsi l’anello, così come la moglie Elisabetta gli aveva chiesto quand’era ancora viva.

Riconosciuta alla Procura una puntualità esemplare nella ricostruzione dei fatti sul piano criminogeno, grazie anche all’oggettività garantita dagli atti documentali, il difensore ha preferito soffermarsi sulla personalità dell’imputato, evidenziandone «mitezza», «affettività» e «rassegnata accettazione della perdita del suo sogno».

Perché nella camera dove la moglie dormiva sola da tempo, «il marito era salito con il coltello per uccidersi davanti a lei e punirla in questo modo – la sua tesi –. Purtroppo, la tempesta emotiva che lo colto ha finito per invertire la direzione dei fendenti».