Eva Robin’s in scena alla Corte di Osoppo: «Sono cresciuta in brutti ambienti, salvata dal teatro»
foto da Quotidiani locali
OSOPPO. Uno dei testi teatrali iconici del ’900 per un’altra icona del nostro tempo: entrambi all’insegna di quella trasgressività, dietro la quale c’era la voglia utopica (visto poi come sono andate le cose) di vivere e agire per un mondo e una società diversi, più tolleranti, più liberi e più giusti.
Stiamo parlando de “Le serve”, capolavoro di quel Jean Genet, “santo commediante e martire” come lo chiamò in suo saggio illuminante il grande Jean Paul Sartre, con cui metteva in scena secondo una ritualità malata le dinamiche ipocrite e mortifere della borghesia. E stiamo parlando di Eva Robin’s, che de “Le serve” è protagonista nello spettacolo che approda alla Corte di Osoppo sabato 24 febbraio, alle 20.30.
“Le serve”, testo del 1947, si rifà a un fatto di cronaca che all’epoca in Francia fece molto scalpore, all'assassinio cioè di una aristocratica da parte delle sue cameriere. Nel copione di Genet, le sorelle Claire (Beatrice Vecchione)e Solange(Matilde Vigna), le serve del titolo, amano travestirsi con abiti e gioielli della signora (Eva Robin’s) mentre questa è assente.Giocano a fare la signora in un rituale che è fatto di femminilità malata e nel quale sfogano l’ambivalenza di attrazione adorazione e odio verso la padrona fino a simularne la soppressione. Che si presenta nel momento in cui, l’amante della signora, da loro denunciato per gelosia, viene scarcerato e dunque ne temono la vendetta. Il tentativo di avvelenare la signora fallisce e per entrambe il gioco affascinante e mortale della finzione avrà fine.
«Certo il ruolo della signora – spiega Eva Robin’s – è qualcosa di eclatante, di misterioso, di angelico e diabolico insieme. Un ruolo che avevo già fatto, ma che in questa versione diretta da Veronica Cruciani, trova una perfezione drammaturgica davvero sorprendente che gioca sull’ambiguità del personaggio che a tratti si mostra vacuo leggero e a tratti invece si tinge di toni cupi fino a precipitare la situazione in tragedia».
Viene abbastanza naturale chiedere allora a Eva se sente una qualche corrispondenza tra lei e Genet, visto che è comune a entrambi il non preoccuparsi delle convenzioni. «Genet e io eravamo dello stesso segno zodiacale, Saggittario. E poi, a dire il vero, io in un periodo della mia vita ho frequentato, come lui, il malaffare e sono cresciuta in quegli ambienti, prima che mia madre mi mettesse in un collegio. Io ho assaporato quel tipo di contesto che poi Genet ha descritto nel “Diario del ladro”. Quanto alle convenzioni, sono belle perchè vanno trasgredite».
Quanto alla carriera teatrale,Eva racconta che la deve soprattutto al regista bolognese Andrea Adriatico che «ha osato mettermi in mano un testo, importante come la “Voce umana” di Cocteau e che mi ha salvata indirizzandomi al teatro. Mi ha dato un lavoro e una continuità di lavoro, altrimenti sarei stata una svergognata che si esibiva con tutto “de fora”, ma all’epoca non pativo il freddo. Scherzi a parte il teatro è il luogo in cui mi esprimo molto, perché io non sono mai soddisfatta di un solo ruolo e in teatro invece entrò in molti corpi».