Boom per la Pasqua alla Madia, Padre Bianchi: «C’è sete di spiritualità, non di morali»
Albiano d’Ivrea
Sembra lontana anni luce, Casa della madia di padre Enzo Bianchi, dai processi che i sociologi chiamano “di secolarizzazione” ai quali viene imputato lo svuotamento delle chiese. Niente di più distante, considerando anche solo questa settimana di Pasqua, la prima per la comunità spirituale di Albiano: a fronte di 14 posti disponibili sull’ospitalità fissa, sono arrivate oltre settanta prenotazioni. Persone che hanno deciso di vivere i prossimi giorni con i monaci, all’interno della cascina inaugurata a settembre; e molte di più sono quelle che chiedono dirette social per poter partecipare pur senza essere presenti. «Io credo semplicemente che la gente cerchi meno morale e meno dottrina, ma nello stesso tempo abbia tanta sete di spiritualità», motiva padre Bianchi. Del resto, cosa sia Casa della madia lo ha spiegato più volte lui stesso: un centro di accoglienza spirituale aperto a cattolici, laici, chiunque abbia necessità di riflettere sul senso della vita o «semplicemente voglia ritrovare se stesso, tornando a camminare con le proprie gambe».
E qualsiasi sia il suo credo, la provenienza, il trascorso. Monaco cristiano e affermato saggista italiano, nonché fondatore della Comunità monastica di Bose, a Magnano, della quale è stato priore per 55 anni sino al gennaio 2017, prima di essere allontanato irrevocabilmente su decreto della Santa Sede, l’ottantenne padre Enzo Bianchi racconta di un profondo bisogno di condivisione e fratellanza, attingendo alle testimonianze dei tanti che bussano alla sua porta.
E dire che il tema della secolarizzazione lo ha posto di recente anche il sociologo Luca Diotallevi, che nel suo libro “La messa è sbiadita” calcola come, partendo dai dati Istat, la partecipazione al rito domenicale in Italia sia passata dal 37,3% del 1993 al 23,7% del 2019. Un fenomeno che non sembra riguardare nemmeno lontanamente Casa della madia.
Padre Bianchi, come sono stati questi primi mesi in Casa della madia?
«Sono stati mesi di inizio, ma ci ha sorpreso il fatto che nonostante la nostra realtà fosse una cosa nuova c'è stata una grande risposta da parte della gente. Siamo rimasti stupiti dall'accoglienza, sia del parroco che delle persone. Nella mia vita non l’ho mai riscontrata così».
Un chiaro messaggio di benvenuto.
«Tantissimi sono venuti a trovarci, ci han fatto doni, ci hanno portato dolci per la festa, vino. Sono slanci che noi non avevamo mai vissuto in tanti anni. Ad esempio a Magnano, e lo dico senza rancore, c'era stata tanta diffidenza. Qui invece abbiamo trovato molta simpatia, molto interesse, questo ci ha lasciati veramente sorpresi. Con il parroco è iniziata addirittura una collaborazione».
Cioè?
«Lo andiamo ad aiutare in parrocchia per dire messa, per la pastorale, per gli incontri. Nel senso che se non ci sono preti sufficienti o c'è bisogno andiamo noi, che siamo sette più un prete fisso. Siamo molto felici di questo».
Si parla tanto dell'allontanamento delle persone dai riti religiosi, delle messe sempre meno affollate. Il tema è tornato di attualità anche per via di alcuni dati contenuti nello studio del sociologo Diotallevi. Viceversa, guardando a Casa della madia, emerge un grandissimo interesse a essere presenti.
«Dico questo: a Casa della madia tutti i sabati sera, alle cinque del pomeriggio, offriamo alla gente una meditazione sui Vangeli. Bene, c'è sempre una quarantina di persone che vengono dai dintorni. Noi stessi non ce l’aspettavamo».
Come spiega tutto ciò?
«Con ogni probabilità oggi si cerca meno morale e meno dottrina, ma si ha sete di spiritualità e Vangelo, che vengono trovati in centri come il nostro. D'altronde anche in Francia in questo momento la gente trova più spazi affini a sé nei monasteri e nei centri spirituali che non nelle parrocchie, è un fenomeno abbastanza attestato nell'Europa occidentale. C'è poi la fraternità: la gente viene qui, si conosce. Si sta insieme un momento, si prende il caffè».
Poi magari c'è il pranzo con i monaci che viene condiviso, l’orto, le attività aggreganti che fanno tanto comunità.
«Sì, ecco, è tutto un ripristinare i tessuti della fraternità, del riconoscimento reciproco, dimensioni che attualmente nelle parrocchie sono troppo anonime».
Incontra anche i giovani?
«Non sono molti, però a questi incontri vedo anche loro. L’ interesse c'è».
Per la Settimana santa, le chiedono addirittura le dirette social per chi è lontano o malato e non potrà partecipare.
«Ci stiamo organizzando. Del resto le richieste di venire alla Madia per i giorni di Pasqua sono state talmente tante che per accoglierle tutte abbiamo coinvolto altre realtà, non solo parrocchiali, dove queste persone andranno a dormire e faranno colazione, per poi venire qui da noi a vivere insieme la giornata e le liturgie, e gli incontri».
Quante richieste precisamente?
«Una settantina su 14 disponibili. Per fortuna abbiamo una rete di alloggi e strutture che abbiamo già utilizzato in passato per i ritiri dei preti. Tutto questo ci aiuta molto, e noi aiutiamo il territorio».
Che Pasqua sarà alla Madia?
«Questa è una Settimana per tutti, credenti e non credenti, una settimana in cui dedicare un po' di tempo a pensare che si può fare qualcosa per gli altri, che c'è tanta gente che ha bisogno di uno sguardo, di un sorriso, di essere riconosciuta. Questo può cambiare la vita; sono giorni in cui pensare che è la fraternità il sapore dell’esistenza. Se noi non ci riconosciamo fratelli, la nostra vita non ha sapore. E questa settimana è proprio la celebrazione della fraternità. Bisognerebbe viverla con consapevolezza».