La riforma elettorale in Bosnia oppone Ue e Stati Uniti
foto da Quotidiani locali
BELGRADO Una mini-riforma elettorale imposta dall’alto che provoca un terremoto politico nel Paese e oppone a sorpresa Ue e Usa. Sono i contorni della nuova crisi, con profondi riflessi internazionali, che sta scuotendo la Bosnia-Erzegovina, dove la gioia per il via libera all’apertura dei negoziati d’adesione ha presto lasciato spazio a rinnovate tensioni.
La miccia è stata, questa volta, la decisione presa dall’Alto rappresentante della comunità internazionale, il tedesco Christian Schmidt, “arbitro” del rispetto degli Accordi di pace di Dayton, il quale ha usato i suoi poteri esecutivi per imporre una legislazione che, sulla carta, va a migliorare le regole elettorali e a prevenire brogli. Si tratta del «mio contributo» all’accelerazione del processo d’integrazione europeo della Bosnia e «ho fatto quello che doveva essere deciso tanti anni fa», misure pensate esclusivamente per garantire «elezioni giuste e libere per i bosniaci», ha spiegato Schmidt. La riforma imposta dall'ex politico tedesco riguarda in realtà modifiche secondarie alle regole elettorali, con l’introduzione di un conteggio elettronico dei voti e della videosorveglianza nelle sezioni. E ancora, mano dura contro la «manipolazione» dell’opinione pubblica via fake news, pulizia nelle liste degli elettori per rimuovere persone senza più diritto di voto, la «professionalizzazione» degli scrutatori, l’introduzione del voto digitale in alcuni seggi per testare un sistema di voto moderno da estendere a future elezioni. Il pacchetto «per l’integrità del voto», così lo ha battezzato Schmidt, è pensato per garantire più trasparenza nelle amministrative di quest’anno e per meglio preparare il Paese al voto generale del 2026, la promessa.
Tutto bene? Non proprio. Da una parte, infatti, la discesa in campo di Schmidt è stata apprezzata a Sarajevo, dato che «la protezione dell’integrità del voto è un processo importante in democrazia», ha spiegato il ministro degli Esteri bosniaco Eldemin Konakovic; concorde l’Sdp, al governo nella Federazione bosgnacco-croata, che ha parlato di «passo positivo» che spinge la Bosnia verso la Ue. Sulla stessa linea anche Washington, con gli Usa che hanno lodato l’iperattivismo di Schmidt assicurando che la “riformetta” «rafforza» la sicurezza alle urne e garantisce che la volontà degli elettori sia rispettata.
Valutazione contraria, com’era nelle attese, tra i serbi di Bosnia, a Banja Luka, che sono di umor nero. Schmidt – la cui autorità non viene riconosciuta dal leader nazionalista Milorad Dodik e dal suo entourage – continua a immischiarsi in faccende che non lo riguardano. E «quando i leader della Bosnia fanno un passo avanti», l’apertura dei negoziati, «Schmidt ce ne fa fare tre indietro», ha così attaccato la componente serba della presidenza tripartita, Zeljka Cvijanović, che ha parlato di uno «schiaffo ai processi democratici».
Chi ha ragione, in una battaglia che si prevede esplosiva? Per una volta, sembra, i critici di Schmidt. È quanto ha suggerito a sorpresa l’Unione europea, che per bocca del portavoce Peter Stano ha ieri contestato l’iniziativa di Schmidt. La Bosnia è Paese candidato, i suoi leader possono «prendersi la responsabilità delle riforme» richieste. E i «poteri esecutivi» di Schmidt andrebbero usati solo «contro atti illeciti irreparabili». Inoltre, «un'ampia supervisione internazionale è incompatibile con il futuro europeo», è stata la stoccata finale, che suona come una definitiva delegittimazione dell’Alto rappresentante.