Fondi pensione: la previdenza non è un affare per giovani
Si inizia sempre più tardi ad accantonare soldi per la vecchiaia. E molto spesso sono cifre davvero contenute, a differenza di quello che avviene in altri Paesi europei. Il problema? Sicuramente manca l’informazione, ma il vincolo sono le retribuzioni troppo basse per le nuove generazioni.
Avrebbero dovuto essere il paracadute per le giovani generazioni destinate ad avere pensioni basse, ma in realtà i fondi pensione sono stati un flop. Eppure per chi ha oggi tra i 20 e i 40 anni, a meno di non poter contare sui risparmi dei genitori, il futuro previdenziale si prospetta tutt’altro che roseo. I più pessimisti prevedono che tra qualche decennio l’Inps non sarà in grado di erogare le pensioni a tutti, a causa del «combinato perverso» del calo demografico e dell’invecchiamento della popolazione. L’attuale sistema previdenziale, basato sul sistema contributivo (la pensione dipende dai contributi versati durante la vita lavorativa), penalizza i giovani che, avendo carriere discontinue e retribuzioni basse, non possono crearsi un tesoretto previdenziale decoroso.
In base a uno studio di European House Ambrosetti, già oggi una pensione su tre è al di sotto dei mille euro mensili e la situazione è destinata a peggiorare. Il tasso di sostituzione attuale, cioè a quale percentuale dell’ultimo stipendio corrisponde la pensione, è destinato a scendere progressivamente, dall’81,5 per cento attuale fino al 67,6 per cento nel 2050. Un meccanismo creato per abbattere la spesa previdenziale che rappresenta la voce più importante del welfare. Nel 2023 sono stati spesi 637,7 miliardi di euro in welfare di cui circa la metà, 317,5 miliardi, se ne sono andati per pagare le pensioni. Una voce che peserà sempre di più sul bilancio pubblico per l’invecchiamento della popolazione non bilanciato da nuove nascite. In dieci anni la spesa previdenziale è aumentata del 2,4 per cento. Quindi i fondi pensione diventano una strada per non passare una vecchiaia in povertà. Ma in pochi l’hanno capito. L’European House Ambrosetti sottolinea che la previdenza pubblica rappresenta il 75 per cento del reddito degli ultra-65enni mentre quella complementare solo il 5,3. In Germania, invece, la copertura è del 13,7 per cento, in Francia del 15,4 e nel Regno Unito del 41,8 per cento.
In Italia solo il 36,2 per cento dei lavoratori, contro l’84 per cento dei tedeschi, ha aderito ai fondi integrativi. La Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, nella relazione annuale, ha messo in evidenza anche il fenomeno di chi non versa i contributi. A fronte di un aumento del numero di iscritti ai fondi negoziali, aperti e Pip (Piano individuale pensionistico di tipo assicurativo) di oltre il 5 per cento (9,2 milioni) è cresciuta la platea di coloro che non versano contributi (oltre 2,5 milioni, circa il 28 per cento degli aderenti). Inoltre quasi un terzo degli iscritti, il 32,3 per cento, ha almeno 55 anni mentre gli under 35 non raggiungono il 19 per cento. Oltre a una terza età sicura, un altro punto a favore della previdenza «di scorta» è il rendimento rassicurante dei fondi negoziali (istituiti dai sindacati e dai datori di lavoro). La Covip ha stimato un rendimento medio 2023 in crescita del 6,7 per cento a fronte di una rivalutazione del Tfr che si ferma invece all’1,6 per cento.
Ma allora come mai ancora così pochi iscritti soprattutto tra i giovani? Il presidente di Assoprevidenza, Sergio Corbello, è convinto che «i giovani conoscano poco la previdenza integrativa, oltre a guadagnare troppo poco per aderire a un fondo. Un ragazzo che vive a Milano, neoassunto in una banca o una finanziaria, non va oltre i 1.600 euro al mese. Ma questa retribuzione gli basta appena per sopravvivere. Per questo il problema retributivo è centrale nella previdenza complementare». Anche perché per costruire una rendita futura accettabile, gli accantonamenti devono essere sufficientemente alti. «Almeno il 10 per cento del proprio reddito, altrimenti è una finta. Significa che ai 1.600 euro mensili di stipendio bisogna togliere 160 euro. Così un giovane ci pensa due volte se deve vivere in una città cara come Milano» afferma Corbello. «In molti fondi pensione le adesioni sono cresciute ma con una contribuzione minima, soltanto a carico dell’azienda senza che ci siano né il Tfr né il contributo del lavoratore. Questa è una apparenza di previdenza complementare, si fa un po’ di accumulo fiscalmente protetto, ma alla fine la rendita consente al massimo un paio di viaggi e qualche cena. Se si impegnano 100-150 euro l’anno, moltiplicati per 40 anni, certo non si navigherà nell’oro». Insomma, la previdenza integrativa richiede carburante e i soldi non vanno messi nelle linee garantite. «Un giovane lavoratore subordinato deve scegliere un profilo di investimento aggressivo, almeno nei primi dieci anni di adesione al fondo» conclude Corbello. «Farà in tempo, a fine corsa professionale, a cambiare posizione per evitare i rischi, ma solo così potrà assicurarsi una vecchiaia serena». È vero, ma a condizione di avere uno stipendio che lo consenta. Per questo chi può, al momento, fugge all’estero alla ricerca di opportunità migliori.