Nella poesia italiana del Novecento quanto conta il Sud? Finora è stato trattato come se non esistesse
Esiste una linea meridiana, lungo la poesia italiana del Novecento? Quanto è importante riscoprire una geografia della letteratura, anche per ridiscutere alcune poetiche, percepite come egemoni sul territorio nazionale? Ne scrive Simone Giorgino in Eretico barocco, pubblicato da Carocci Editore.
Nel volume, il docente dell’Università del Salento riunisce gli studi legati a eterodossie poetiche che richiamano alla memoria autori troppo spesso trascurati, persino dai più attenti lettori di poesia; autori che pure hanno animato il dibattito culturale nella penisola salentina nel secolo scorso. Stiamo parlando di figure di rilievo come Vittorio Bodini, Girolamo Comi, Raffaele Carrieri, Carmelo Bene, solo per citarne alcuni. Poeti eretici, sì, perché si affrancarono decisamente dall’ortodossia delle poetiche maggioritarie del proprio tempo. Vittorio Bodini, ad esempio, fu tra i primi a interpretare la necessità di dare dignità letteraria a un territorio tanto vasto – quanto assente – dalle cartografie letterarie dominanti.
Con un intento simile, ma sa un territorio più ampio, Giorgino aveva già pubblicato, tre anni fa, un volume intitolato Carta poetica del Sud, edito da Musicaos. Come faceva notare l’autore, facendo riferimento al DM 211/10, troppo spesso i dicasteri dell’Istruzione trattano il Sud tamquam non esset, come se non esistesse: “La letteratura del Sud non esiste, e parrebbe che più di cento anni di storia letteraria non abbiano visto neanche uno scrittore meridionale contribuire in maniera significativa allo sviluppo del patrimonio letterario italiano”.
Si tratta di una deliberata “discriminazione della letteratura del Sud”, di cui le indicazioni ministeriali citate sono soltanto un appariscente episodio? Probabilmente, argomenta Giorgino, si tratta di scelte influenzate anche dall’assenza strutturale di un’industria editoriale competitiva e di centri di aggregazione intellettuale in grado di raggiungere tutto il territorio nazionale.
Con un grado di attualità formidabile, l’amore e l’odio per la propria terra destinata all’emigrazione emergono dai versi di Leonardo Sinisgalli: “Qui dovevo vivere,/ verrò a morire tra i ruscelli/ le vigne le pietre”. “I meridionali contano i giorni che mancano alla fuga”. Così scriveva a proposito del conflitto tra i giovani e il patriarcato ancora dominante. Non si può tacere dei versi impegnati di Danilo Dolci: “Vogliamo materiale da museo/ i mafiosi e i residui parassiti/ memorie antiche di un tempo incredibile”. O anche: “ho cercato con voi/ di guardare oltre l’attimo, vivendolo,/ di vedere oltre i giorni, oltre gli anni/ di imparare a collaborare/ premendo con la gente per cambiare/ questa terra”. Con Dolci, si delinea l’idea di una poesia che può catalizzare il cambiamento attraverso un’azione corale di stampo pedagogico.
È altrettanto importante – pur nella brevità imposta dal contesto – richiamare lo sforzo del poeta Antonio Leonardo Verri, salentino, che prestò costantemente il proprio sguardo alla cultura del proprio territorio, prestando attenzione a conterranei come Rina Durante, Vittorio Pagano, Salvatore Toma. Anche attraverso la poesia, il Sud potrà dire qualcosa per non ridursi a un ruolo di “eden per turisti oltraggiato da una diffusa illegalità e dalla criminalità organizzata”. Recuperando, così, la sfida lanciata dal Pensiero Meridiano di Franco Cassano, che auspicava un nuovo modello di sviluppo “meridiano”.
Il tema è stato ripreso, nelle sue linee programmatiche, dal poeta napoletano Bruno Di Pietro in una sua recente riflessione sul tema della “linea meridiana” della poesia: riprende temi cari al sociologo barese, come la “lentezza”, per sfuggire alle logiche del produttivismo, il senso del limite e il rapporto con il mare Mediterraneo, luogo di scambi e ritorni. La sua riflessione si chiude con una citazione de L’uomo in rivolta, di Albert Camus: “In cuore alla notte europea, il pensiero solare, la civiltà dal duplice volto, attende la sua aurora”.
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