De Luca: “Sulla Russia mistificazione intollerabile”. E su Gaza: “I giovani europei rifiutano narrazioni ipocrite sul genocidio”
Nel corso della sua consueta diretta streaming su Facebook, il presidente uscente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, affonda il colpo su geopolitica, media occidentali e crisi mediorientale, costruendo un intervento che scorre come un atto d’accusa contro la “mistificazione” che domina il racconto pubblico della guerra tra Russia e Ucraina.
Il governatore parte dall’ultima dichiarazione del comandante militare della Nato, l’ammiraglio Cavo Dragone, che evoca la disponibilità della Nato a condurre attacchi preventivi nel campo della cybersicurezza e della protezione delle infrastrutture strategiche. Un’affermazione che per De Luca diventa il simbolo di una narrazione rovesciata che ha causato una distorsione mediatica: “Sulle prima pagine dei giornali abbiamo letto: ‘La Russia minaccia l’Europa’. Continuiamo in questa linea di mistificazione intollerabile. La Russia non si regge neanche in piedi, ma che deve minacciare? Sta da quattro anni e non riesce ad avanzare neanche nel Donbass. Ha un Pil che è inferiore a quello dell’Italia“.
A far da contrappunto, De Luca richiama la lezione storica della crisi di Cuba per spiegare le ragioni strategiche di Mosca: l’allargamento della Nato nell’Est Europa configurerebbe, a suo giudizio, una minaccia tale da giustificare l’atteggiamento russo: “Kennedy aveva ragione. Non puoi mettermi i missili a dieci minuti di distanza da Washington o da New York, quindi li devi togliere, perché quando si parla della sicurezza fondamentale di una grande potenza, la legge che prevale è questa: la tutela delle ragioni fondamentali di sicurezza. Dovrebbe valere questa legge anche per la Russia, perché finché non avrà una condizione accettabile di sicurezza, ma si trova lungo tutto il confine i missili della Nato a dieci minuti da Mosca e da San Pietroburgo, sarà sempre un po’ preoccupata e un po’ nervosa. Ma, secondo molti media italiani, la Russia aggredisce”.
La diretta vira poi sulla crisi mediorientale, con toni che si fanno ancora più duri. De Luca denuncia la recrudescenza dell’antisemitismo in Europa, collocandolo nel quadro emotivo prodotto dal genocidio a Gaza e dalle immagini delle vittime civili palestinesi: “Oggi riprende vigore l’antisemitismo, perché a Gaza il genocidio in atto del popolo palestinese ha cambiato completamente lo stato d’animo di milioni di cittadini d’Europa e soprattutto di giovani per i quali i campi di concentramento sono vicende storiche e lontane, mentre invece i morti e ammazzati di Gaza sono cose quotidiane. E così – prosegue – apprendiamo che 5mila bambini hanno bisogno di medicinali ma non li fanno arrivare, che nelle carceri israeliane si torturano i prigionieri e si violentano le donne, che in Cisgiordania si fanno i rastrellamenti come facevano i nazisti e si dà un’ora di tempo alle famiglie palestinesi per abbandonare le case e le buttano a terra oppure le ammazzano nell’indifferenza generale”.
E sottolinea: “Quando parliamo di antisemitismo dobbiamo capire che o prosciughiamo le sorgenti dell’antisemitismo, oppure parliamo al vento. O affermiamo che il diritto vale per tutti sul piano internazionale, anche per Israele, oppure non si frenerà l’ondata di antisemitismo. Perché sarà difficile per un ragazzo di 18 anni distinguere tra governo e cittadini israeliani. Tutti questi distinguo di fronte alle migliaia di morti e al genocidio non valgono niente. Questa è la realtà”.
La critica si estende al sistema internazionale, giudicato incapace di far rispettare il diritto e di contenere la logica della guerra preventiva. Israele, osserva, è “l’unico Paese del Medio Oriente dotato di armi atomiche e 100 ordigni nucleari”, un’anomalia che mina la credibilità dell’intero impianto multilaterale.
Il presidente campano approda così a una riflessione più ampia sul rischio di un progressivo scivolamento verso la normalizzazione della guerra, soprattutto in società in cui si attenua la memoria dei conflitti del Novecento. L’ossessione per il riarmo, l’espansione delle alleanze militari e la spettacolarizzazione delle tecnologie belliche costituirebbero, nella sua lettura, un pericolo imminente: “Più vengono fuori nuove generazioni lontane dalla memoria delle guerre mondiali, più la guerra diventa una tragedia possibile”.
La conclusione è una sorta di ammonimento rivolto tanto alla politica quanto agli apparati militari: le tecnologie di difesa, afferma, si potenziano “in silenzio”, senza proclami, e la strada da seguire non è l’esibizione muscolare bensì il ritorno al multilateralismo, unico orizzonte che può tutelare la pace: “Facciamo qualche ragionamento su una linea che guarda al multilateralismo, non al potenziamento delle alleanze militari, perché su questa strada la pace non la difendiamo, è una illusione”.
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