Infantino oltre ogni limite: ora Trump e Bin Salman, prima Putin. Il vero volto del presidente Fifa
Blatter, in confronto, era un dilettante. Anche l’ex presidente della Fifa, in carica dall’8 giugno 1998 al 21 dicembre 2015, oggi 89 anni, costretto a farsi da parte per lo scandalo corruzione che aveva travolto la federazione internazionale, incensava i potenti, in particolare quelli degli stati asiatici e africani, distribuendo denaro a pioggia con progetti calcistici in lungo e largo, ma non arrivò a omaggiare gli autocrati della storia moderna in modo sfacciato come il suo successore, Gianni Infantino. Il sorteggio della fase finale del mondiale 2026, al Kennedy Centre di Washington, è stato un autospot del presidente Donald Trump e una vergognosa manifestazione di servilismo da parte di Infantino. Il dirigente numero uno del calcio ha inventato un improbabile premio per la Pace per blandire Trump. Da qualche mese, si sa, il Nobel è un chiodo fisso per Donaldone. Il presidente statunitense, lusingato e contento come un bambino, ne ha approfittato per propagandare le eccellenze del suo secondo mandato (“il mondo da un anno è più sicuro”, sottinteso da quando io sono tornato alla Casa Bianca). Ha definito Infantino un “buon amico” (lo sapevamo, da tempo i due si frequentano con una certa assiduità). Ha però dimenticato di ricambiare la cortesia e di consegnare al prode Infantino un premio meritatissimo: il Lecchino d’Oro.
Il dirigente svizzero, di chiara origine italiana – i genitori erano immigrati provenienti da Lombardia e Calabria -, ha studiato giurisprudenza all’Università di Friburgo, parla francese, tedesco, italiano, inglese, spagnolo, portoghese e arabo, è stato Segretario Generale del Centro Internazionale di Studi Sportivi (CIES) di Neuchatel e, dal 2000, fa parte della grande famiglia del calcio. Uno scalatore agile e veloce: nel gennaio 2004 viene nominato Direttore della Divisione Affari Legali e Licenze per Club della UEFA, nel 2007 diventa Vice Segretario Generale della UEFA, nell’ottobre 2009 è promosso Segretario Generale. Si fa le ossa a ritmo frenetico: introduce il Fair Play Finanziario, migliora il supporto commerciale destinato alle associazioni nazionali più piccole, cura l’allargamento del campionato europeo – un primo segnale di quella che sarebbe stata la sua politica -, progetta la Nations League, collabora all’idea platiniana dell’europeo 2020 itinerante. Nel 2015, il colpo di fortuna: lo scandalo corruzione travolge il duo Blatter-Platini e lui si ritrova la strada spianata per diventare presidente della Fifa. Viene eletto il 26 febbraio 2016. Nel 2019 viene confermato e nel 2023 approda al terzo mandato.
Quando sale sul trono per la prima volta, avvia una campagna “simpatia” per distogliere l’attenzione dai processi in corso. Chiama a raccolta tutti i campioni del passato, coinvolge nei progetti ex allenatori di livello come Arséne Wenger, organizza partite di esibizione in cui, tra gli illustri ex, c’è posto anche per lui: giusto così, porta le maglie, il pallone e persino il campo. Nel 2016, la prima grana: i Panama Papers citano il suo nome nello scandalo corruzione FIFA. Secondo queste carte, l’UEFA ha stipulato accordi con personaggi incriminati con cui, in precedenza, Infantino aveva negato qualsiasi relazione. Lui si dice “sgomento” e assicura di non aver mai trattato personalmente con le parti coinvolte.
Con il mondiale di Russia 2018, assegnato prima del suo avvento, fa il salto nella politica globale. Avvia un rapporto solido con Vladimir Putin, definisce il torneo “il migliore di sempre” e nel 2019 riceve dal presidente russo la medaglia dell’Ordine dell’Amicizia. Anche il Qatar ha ottenuto l’organizzazione del mondiale prima del suo insediamento, ma Infantino cavalca l’onda e va a vivere a Doha, dove diventa amico dello sceicco. Quando esplode la questione dei diritti dei lavoratori immigrati non rispettati, dei salari sottopagati, del reclutamento illegale di manodopera e delle prime vittime nella costruzione degli impianti, Infantino respinge le accuse e contrattacca: “Per quello che noi europei abbiamo fatto negli ultimi 3.000 anni, dovremmo scusarci per i prossimi 3.000 anni prima di dare lezioni morali. L’Occidente è ipocrita”. Il 19 novembre 2022, alla vigilia del mondiale, Infantino dichiara di “sentirsi qatariota, arabo, africano, gay, disabile e lavoratore migrante”.
Il 31 ottobre 2023, Infantino annuncia l’assegnazione del mondiale 2034 all’Arabia Saudita. La monarchia di Riyad è nella lista nera dei paesi che non rispettano i diritti umani ed è pesantemente coinvolta nell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, trucidato nel consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre 2018, ma Infantino non fa una piega. Viene spesso fotografato con il principe Mohammed bin Salman, considerato il mandante dell’omicidio-Khashoggi e, in diverse occasioni, sostiene sui social le iniziative sportive saudite.
La rielezione di Trump ripropone il rapporto avviato con il presidente statunitense quando, nell’agosto 2018, il mondiale 2026 viene affidato a Usa, Canada e Messico. Infantino consegna a Trump una maglia personalizzata e un pallone, ma la scintilla scocca quando, al termine della visita, Infantino dice a Trump: “Nel calcio abbiamo i cartellini, gialli e rossi. Il giallo è un avvertimento. Quando vuoi espellere qualcuno, ecco il rosso”. Estasiato, Trump afferra il cartellino rosso e lo mostra alla stampa, in segno di avvertimento. L’altro momento chiave si verifica a Davos, a inizio 2020. Trump è in difficoltà. Ha appena affrontato il primo impeachment della sua presidenza per abuso di potere. Infantino, di fronte a un gruppo di imprenditori, afferma: “Trump dice esattamente quello che molti pensano, ma, cosa più importante, fa quello che dice. Questo rende il sogno americano realtà, ma il sogno americano è qualcosa che tutti noi dobbiamo avere”. Donaldone, commosso, lo ringrazia. Il rapporto si stringe. I due si sentono spesso al telefono e giocano insieme a golf. Infantino partecipa persino a missioni internazionali, come se fosse un membro dello staff presidenziale. La rielezione di Trump galvanizza Infantino. Il “soccer”, il calcio, si avvicina al mondo MAGA e all’American Business di Miami, il presidente Fifa afferma: “Ho un ottimo rapporto con Trump, lo considero un amico molto intimo. Dovremmo tutti sostenere ciò che sta facendo perché penso che stia andando bene”. Infantino si è spinto troppo oltre: viene accusato di aver violato lo statuto Fifa sulla neutralità politica, ma lui non si scompone. S’intende bene con Trump perché condivide i principi di una conduzione autoritaria. Chi si mette di traverso, viene emarginato: è il caso del sindacato internazionale dei giocatori, escluso dal megavertice che si svolge in occasione del mondiale per club 2025.
Lo show di Washington e il premio per la Pace consegnato a Trump sono l’apoteosi di questa amicizia: uno governa la nazione più potente del mondo, l’altro l’organizzazione sportiva più ricca. Nel congresso Fifa di Asunciòn, maggio 2025, vengono infatti annunciati introiti record nel periodo 2023-2026, con un incremento di 13 miliardi di dollari rispetto al triennio precedente. Infantino promette di reinvestirne 11,3: una pioggia di denaro, che blinderà il suo potere e in cui il mondiale 2026 sarà un passaggio chiave, con una previsione di incassi di 8,911 miliardi.
Le critiche più feroci allo show di Washington sono arrivate dall’Inghilterra, mai tenera con Infantino. “L’assegnazione del premio Fifa per la Pace è sembrata più legata al desiderio di Infantino di compiacere i politici potenti che all’amore di Donald Trump per queste offerte di lealtà sfarzose e costose, che ci rimandano alle corti medievali – scrive su X Henry Winter, grande firma britannica –. Il premio assegnato a Trump ha indebolito lo statuto Fifa e ha distratto l’attenzione dal vero trofeo in palio, la Coppa del Mondo. Infantino non parlava a nome del mondo quando ha conferito il premio per la Pace. Che presunzione! E’ spettacolarmente ingenuo, o semplicemente arrogante da parte della Fifa, invadere aree che non le competono. Il momento del selfie è stato particolarmente imbarazzante. Infantino ha dimenticato che la star non è un avvocato di cinquantacinque anni come lui, ma il calcio. E’ allarmante ciò che accade ai vertici del football quando prendono il potere. Persino Arséne Wenger è cambiato da quando è stato nominato Responsabile dello Sviluppo Globale del Calcio. Ora si batte per aumentare le partite, smentendo i tempi in cui, da allenatore, criticava il gigantismo. Infantino dovrebbe ricordare che dirige una federazione sportiva internazionale, non un’organizzazione politica. Deve lavorare e servire il calcio, non se stesso”.
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