Integrazione modello nell’ex scuola di Cavassico: «Sei ragazzi lavorano e i vicini ci aiutano»
Sono dodici i migranti presenti da ottobre nella struttura, ma ora il centro di aggregazione dovrà essere liberato. La mediatrice culturale: «La gente del posto porta regala ai ragazzi torte fatte in casa»
E’ un tuffo nella speranza passare il tempo con i migranti accolti dall’ottobre scorso dal Comune di Borgo Valbelluna, nell’ex scuola elementare di Cavassico Superiore. Stiamo parlano dell’ottimismo che deriva dalla voglia di realizzare sogni accarezzati per anni, tanto da decidere un giorno di tentare il tutto per tutto, anche la traversata del Mediterraneo, per trasformarli in realtà. Sono 12 ragazzi provenienti da diversi Paesi, con culture e religioni diverse, ma che in questa struttura hanno trovato il modo di convivere e di aiutarsi.
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Chi sono
Ospiti a Trichiana i ventenni Alaeddine, Adem e Selim (dalla Tunisia), Mohamed e Zayed (22 e 19 anni dall’Egitto), Kadjal (18 anni dalla Guinea), Sagor, Jewel, Sojib e Sojol dal Bangladesh (rispettivamente di 26, 31, 30 e 23 anni), Ravinder (36 anni) dall’India e Muhammad (38 anni) dal Pakistan. La cosa che colpisce è che, nonostante la povertà da cui sono scappati, nonostante la prigionia nelle strutture libiche, nonostante le angherie e le violenze subite e aver visto la morte in faccia, sono felici. Quella felicità che chi ha tutto non riesce più ad assaporare così spesso.
«Mi sono raccomandato di farsi trovare in ordine», ci dice il sindaco di Borgo Valbelluna, Stefano Cesa, mentre ci accompagna a visitare questo centro di accoglienza straordinaria. Un centro sui generis, perchè è gestito dall’amministrazione comunale con la collaborazione di più soggetti: dalle associazioni di volontariato del territorio, a cominciare dalla Croce Rossa; dalla coop Integra che cura alcuni aspetti del soggiorno tra cui quelli burocratici; dalle due maestre di italiano in pensione Giuseppina Rigato e Angela Rui che si sono offerte di dare una mano. Ma intorno a questo centro ruota una comunità intera che ha deciso di accogliere con gioia questi ragazzi, già entrati nel cuore dei vicini. «I vicini quando ci vedono ci salutano e ci fanno grandi sorrisi», raccontano i migranti, a cui fa eco Giulia Menel, la mediatrice culturale della coop Integra, spiegando che spesso «troviamo torte e marmellate regalate dai residenti ai ragazzi».
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Modello di integrazione
Insomma, un’integrazione che è diventata un modello da seguire, ma che ora rischia di disgregarsi, perchè entro la fine di maggio i migranti dovranno lasciare il centro, che da settembre dovrà accogliere i bambini dell’asilo di Borgo Valbelluna. Ed è tanta la preoccupazione dell’amministrazione comunale. La metà di questi giovani (tre tunisini, due egiziani e il ragazzo della Guinea), infatti, sta già lavorando: tre alla Ceramica Dolomite (altri due potrebbero aggiungersi a breve), due in un fast food di Belluno e uno in una fabbrica locale.
«Quelli che lavorano alla Ceramica vanno a piedi (la fabbrica dista qualche centinaio di metri), gli altri prendono l’autobus, che però non passa la domenica o la sera e quindi sono costretti a fare i turni solo diurni», spiega il sindaco. «Quelli che hanno trovato un lavoro sono quelli che, grazie ai corsi portati avanti dalle due maestre di Ponte nelle Alpi, dal Cpia (finanziati dal gruppo Ceramica Dolomite) e dalle Acli, sanno parlare e capire meglio l’italiano», dice la mediatrice culturale, che aggiunge: «Per questi ragazzi non è stato facile perchè, a differenza dei centri gestiti dalle cooperative, non hanno ricevuto il pocket money, quindi finchè non hanno iniziato a lavorare non avevano soldi per loro». «Sojib ha delle grandi capacità linguistiche perchè fa da traduttore a pakistani e indiani», precisano le maestre, che sottolineano «la grande voglia di imparare dimostrata dai ragazzi. Stare insieme a loro fa cambiare la prospettiva a noi che siamo invasi dalla negatività. E di questo li ringraziamo», raccontano senza nascondere che però ci vogliono delle regole per controllare la loro esuberanza.
Racconti e sogni
Adem viene dalla Tunisia. «Lì ho sempre lavorato, ma il problema è che se lavori otto ore quello che guadagni ti basta solo per un giorno, per questo mi sono imbarcato per l’Italia». E sulla barca ha incontrato i due cugini Alaeddine e Selim, che ricordano ancora quel viaggio. «Dieci ore di mare mosso, con la paura di morire visto che non sappiamo nuotare. A un certo punto abbiamo iniziato a imbarcare acqua, così con i nostri vestiti cercavamo di tamponare e buttarla fuori dalla barca».
I ragazzi del Bangladesh sono partiti in aereo dal loro Paese per arrivare fino in Libia e da qui per cinque giorni sono stati in mare, in 300 su un barchino. «Abbiamo nuotato per quattro ore in mare aperto prima che venissero a salvarci con onde alte otto metri, di notte. Con noi c’era anche una bambina di quattro mesi. Per fortuna siamo riusciti a salvarci».
Qualcuno di loro è finito in carcere in Libia e soltanto grazie all’intervento dei genitori che hanno pagato un riscatto alla mafia del posto hanno potuto uscire e scappare. Per tutti il sogno più grande è riuscire a trovare un lavoro, guadagnare qualcosa e mandare i soldi a casa. Un giorno, forse, il ritorno in patria. «Io qui mangio carne e di tutto, ma penso alla mia famiglia che non ha nulla. Se penso che mangiano solo verdure, mi sento male», dice Sojol.
Zayed era arrivato a ottobre a Belluno con l’amico Mohamed, in una giornata in cui non c’era un posto libero per accoglierli. Dopo aver stazionato sotto il portico della Prefettura per alcune ore, la Croce Rossa li aveva sistemati nella tenda. Zayed si era sentito male, ma ora lo ritroviamo in forma, felice. «In Egitto giocavo a calcio in una squadra», ci dice simulando un’azione, «e mi piacerebbe tanto poter giocare anche qui».