Cassa integrazione Covid per oltre 32mila mantovani
![Cassa integrazione Covid per oltre 32mila mantovani](https://gazzettadimantova.gelocal.it/image/contentid/policy:1.38657929:1585597881/FOTO%20SOFFIATI%204.jpg)
La Cgil fotografa la situazione e il segretario generale Soffiati: le imprese anticipino. Altra infornata di deroghe al blocca-aziende: ora sono 266
MANTOVA. Oltre 32mila lavoratori in cassa integrazione in meno di un mese e un’ulteriore emergenza nell’emergenza: non si può rischiare che tempi e modi di erogazione ne lascino troppi e troppo a lungo senza reddito. «Il pagamento potrà essere anticipato dal datore di lavoro» si legge nella circolare Inps di domenica. Indicazione che la Cgil rilancia alle imprese.
Cassa integrazione per 32mila
Oltre 32mila lavoratori e lavoratrici già in cassa integrazione “causa coronavirus” nel Mantovano su quasi 21mila procedure aperte in Lombardia, per un totale di circa 500mila dipendenti. La fotografia scattata dalla Cgil di Mantova racconta di fabbriche chiuse o con impianti a scartamento ridotto per far fronte al dilagare del contagio dentro e fuori dai posti di lavoro. Ma di istantanea si tratta: il dato è in continuo aggiornamento. Dal report di via Altobelli risulta che la maggior parte delle richieste di cassa per Covid-19 a livello regionale arriva dall’industria metalmeccanica (circa 7mila pratiche per quasi 200mila addetti) e così è anche nella nostra provincia che vede 13mila tute blu coinvolte. L’altro macro comparto raggruppa chimica, tessile, gomma plastica, energia: quasi 2mila pratiche in Lombardia per 80mila lavoratori, oltre 7mila i mantovani. L’edilizia, a cantieri chiusi, insieme all’industria del legno e impianti fissi, ha visto poi finora l’apertura di 3.600 procedure per circa 29mila addetti, di cui 2.800 a Mantova. Cifre significative nel nostro territorio infine anche per trasporto-merci-logistica (circa 2.500 persone in cassa integrazione) e cooperative sociali (oltre 1.200).
Soffiati: le aziende anticipino
Spiega Daniele Soffiati, segretario generale della Cgil che «le aziende ricorrono agli ammortizzatori sociali come effetto diretto, a livello regionale, delle chiusure imposte per decreto fin dal 23 febbraio quando fu istituita la prima zona rossa. Poi si sono aggiunte le chiusure che hanno interessato tutta la Lombardia dall’8 marzo e le richieste partite nei giorni scorsi a seguito del decreto blocca-fabbriche». Non solo: «Le misure di protezione previste dal protocollo nazionale su salute e sicurezza a tutela dei lavoratori –aggiunge – valgono per tutti, comprese le aziende dei settori autorizzati ad operare e ciò comporta una diminuzione di addetti con ulteriore ricorso agli ammortizzatori sociali».
Per non contare che dalle ditte non coperte da altri ammortizzatori, a partire da questa settimana scatterà una moltitudine di richieste di cassa integrazione in deroga, finora non attivabili in Lombardia, che interesseranno in particolare il terziario e l’artigianato. «L’emergenza sanitaria avrà un impatto sulle buste paga – prosegue Soffiati – Ai datori di lavoro chiediamo quindi di continuare ad anticipare le indennità». Il nodo non è da poco e riguarda i tempi di erogazione. Così mentre alla Regione Lombardia, Cgil Cisl e Uil chiedono di finalizzare l’accordo con Abi (associazione bancaria italiana) per l’anticipazione sociale della cassa integrazione in deroga, intanto i sindacati nazionali si sono rivolti ai ministri Catalfo, Gualtieri e al presidente dell’Inps Tridico per accorciare i tempi di pagamento e garantire così continuità di reddito ai lavoratori rimasti a casa.
«Troppi ancora al lavoro»
Intanto dopo la revisione dell’elenco delle attività indispensabili, i lavoratori potenzialmente attivi in Lombardia sono scesi da 1,61 milioni a 1,58 milioni. «Numeri ancora alti – lamenta Soffiati – e destinati ad aumentare a causa delle autocertificazioni, nella maggior parte dei casi ingiustificabili, con le quali le aziende continuano a rimanere aperte dichiarando alle prefetture legami con filiere essenziali». Basti considerare che sabato mattina 28 marzo erano circa 15mila le autocertificazioni presentate ai prefetti lombardi per evitare il blocca fabbriche: Mantova 942, Como 600, Bergamo 1.800, Brescia 3.000, Brianza 1.200 Cremona 800, Lecco 300, Lodi 300, Milano 5.000, Varese 1.000, Sondrio 7 e Pavia un migliaio. Dopo il weekend quelle di Varese erano già 1.300 e a Mantova 1.025.
Altra infornata di deroghe
Intanto ieri (30 marzo) sono state pubblicate sul sito della prefettura altre 66 deroghe allo stop governativo in aggiunta alle 200 rilasciate tra venerdì e sabato. L’ultima infornata di aziende che possono proseguire l’attività, non senza limitazioni in alcuni casi, in quanto determinanti per la filiera delle essenziali, vede in elenco imprese di ogni dimensione. Si va da Comer e Marcegaglia Carbon Steel a Tintoria Elisa autorizzata “solo per mascherine”.