Centinaia nei centri culturali islamici di Monfalcone riaperti dal Tar: «Ora il Comune dialoghi con noi»
foto da Quotidiani locali
MONFALCONE. «La preghiera è utile, non può arrecare danni. È un bene per questa città, un bene per il Paese, il mondo intero. E noi andiamo avanti, comunque. A testa alta, perché non abbiamo nulla di cui vergognarci». Sempre, al termine di un pensiero significativo, Bou Konate intercala un Inshallah, se Dio vuole. Anche nel ripercorrere la vicenda che soltanto 24 ore prima di queste sue parole ha visto annullare dal collegio giudicante del Tar le due ordinanze dirigenziali emesse il 15 novembre dal Comune di Monfalcone, che di fatto avevano congelato l’impiego degli spazi interni di via Duca d’Aosta per il raccoglimento di massa.
Allah ci ha messo alla prova
«Allah ci ha messo alla prova e noi abbiamo fatto la nostra parte», scandisce davanti alla comunità musulmana, tra la quattro mura del centro culturale Darus Salaam, che presiede a titolo onorario. Un luogo dove ieri alla spicciolata, a partire da mezzogiorno, si sono date appuntamento centinaia di persone, su più turni, per salmodiare le salāt del venerdì, giorno sacro per i musulmani. Un’ampia stanza su cui i fedeli hanno srotolato la sajjada, il tappeto da preghiera, dopo quasi otto mesi di divieto.
Il rispetto delle regole
In tunica grigio perla Konate per l’occasione ha preso il microfono e spronato i suoi al rispetto delle regole: dalla più piccola, come il riordino delle ciabatte quando arriveranno le nuove scarpiere, a quelle più importanti nei luoghi di lavoro e di socialità come il centro commerciale. «Perché non c’è uno più importante degli altri qui, siamo tutti uguali e se tutti ci comportiamo bene il compito di ciascuno è più facile: se si rispettano le norme non può succedere niente», ha sottolineato. È vero che la sindaca «ha usato la legge per chiudere i centri, ma noi pure l’abbiamo fatto per riaprirli», e questo «grazie a un bravo avvocato che siamo andati a cercare fino a Como». Già la sera prima Konate aveva parlato con diversi giovani della comunità, spiegando che «il fatto di aver visto riconosciute le nostre ragioni dai giudici non vuol dire che allora si possa far tutto, ma si deve continuare a rispettare le regole, in primis quelle della sicurezza».
Dentro la stanza al massimo 300 persone
Infatti dentro la stanza «possono stare al massimo 300 persone», come certificato da un perito. I due verdetti di giovedì hanno in parte colto impreparati i centri nell’organizzazione della preghiera. Infatti l’imam ufficiale, Abdelmajid Kinani, è in Marocco e non ha potuto essere ieri in città a officiare predica e preghiera del venerdì, per la prima volta nel 2024 negli spazi interni, sicché se n’è occupato il suo secondo, Mizanur Rahaman. È stato inizialmente allestito un turno unico dalle 13.15 alle 13.40, a fronte tuttavia dell’avvicinarsi anzitempo dei fedeli alla fine s’è salmodiato anche prima. Nessuna situazione di affollamento sul marciapiedi, ma un continuo viavai, con punte solo al “rompete le righe”, per il rientro a casa. Una parte della comunità islamica ha continuato a radunarsi sotto la pensilina ombreggiata del piazzale ex Hardi, in virtù dell’ultimo verdetto del Tar sul punto. Tar che ha respinto la tesi dell’ente (risoluto pure qui ad appellare) sul fatto ci si trovi lì in presenza di un cantiere e pertanto di un’area preclusa ai non addetti ai lavori.
Il Consiglio di Stato
Non si può tuttavia parlare ancora di «contentezza» né di una ricomposizione della vicenda, dato che sulla comunità, come osservato da Konate a margine, pende ancora la spada di Damocle del Consiglio di Stato. «Ci si sente – spiega – come chi s’è liberato d’un grosso peso: per noi è stata importantissima la parola dei giudici, che ci hanno riconosciuto di non aver infranto la legge». «Detto ciò – prosegue – resta un po’ il dispiacere nel vedere che la vicenda si prolungherà ancora». La volontà della comunità islamica è invece quella di «aprire un dialogo». «L’invito alla sindaca di venire a vedere qui con i propri occhi, internamente e non solo dall’esterno come finora è avvenuto, i nostri locali non è di facciata – chiarisce Konate –: apriamo un tavolo e cerchiamo una soluzione per il bene della città. Credo sia veramente arrivato il momento di sederci assieme e guardarci in faccia. Monfalcone ha già subito troppo, dal nostro punto di vista. Siamo tutti cittadini di questo territorio. Sono stato un amministratore pure io, capisco la pesantezza della situazione, una situazione che non mi piace». È certamente «gravoso, per la comunità islamica portare ancora avanti la battaglia legale: si spendono soldi e tempo». «C’è tanto stress e pure nel volto di chi viene qui a controllarci – conclude –: serve davvero proseguire così?»