Bandiera palestinese in Ghetto a Venezia tra i panni stesi. I residenti: scelta inopportuna
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foto da Quotidiani locali
Sventola, tra i panni, una bandiera della Palestina. In altri tempi e in altri luoghi avrebbe potuto trattarsi di una bandiera qualunque, ma non qui, non ora. Non all’ingresso del Ghetto ebraico, sopra il sottoportego buio che impone di chinare la testa e che porta, come la tana del Bianconiglio, in un mondo a sé, silenzioso e bagnato dal sole, lontano dal viavai del mezzogiorno di Strada Nova.
La bandiera lì dov’è, chiede di essere guardata e così ha fatto la comunità ebraica, con diverse persone che, un po’ risentite, l’hanno segnalata al loro presidente, Dario Calimani.
«Come ho detto loro», spiega, «ognuno è libero di appendere alla propria finestra ciò che vuole. Certo, abbiamo sempre desiderato e desideriamo tutt’ora che il Ghetto rimanga una zona neutrale – infatti di bandiere di Israele non ce ne sono – poiché il dolore e la tragedia sono di tutti, è difficile distribuire colpe, meriti o virtù».
L’intervento della Digos
La bandiera è stata oggetto delle attenzioni anche dagli agenti della Digos che, dallo scoppio del conflitto in Medio Oriente, controllano la zona, un bersaglio sensibile. «So che la polizia era venuta a chiedere informazioni alla famiglia in questione, ma non hanno voluto toglierla», racconta una vicina.
In effetti, interventi di questo tipo sono sempre possibili, visto che gli agenti devono fare ogni verifica del caso per evitare situazioni che potrebbero sfociare in un rischio per i cittadini.
La donna che ha appeso la bandiera preferisce non commentare e nello stesso silenzio si chiudono i suoi vicini di casa, alcuni scuotendo la testa e dicendo sottovoce che si sarebbe potuto evitare di esporla proprio all’entrata del quartiere ebraico.
Chi l’ha esposta
«C’è un genocidio in corso, a me non dà per niente fastidio, che male c’è? Non sono queste le cose che dovrebbero far irritare», commenta un condomino. Un altro, invece, è per nulla d’accordo. «Un brutto segno, soprattutto in questo periodo, a maggior ragione in un posto come questo» ragiona, «ora c’è bisogno di pace, ovunque, non di pretesti per ulteriori scontri o dissapori» continua mentre si allontana.
Fa qualche passo, poi ci ripensa e aggiunge: «Ciò che sta succedendo è spaventoso, ma io credo che, alla fine, l’umanità e il bene vinceranno». Non vuole dire il proprio nome, nessuno vuole farlo, nemmeno una signora che quella bandiera l’ha vista cento volte e che sicuramente un pensiero al riguardo se l’è fatto, ma lo tiene per sé.
La comunità ebraica, d’altronde, è avvolta da un velo di riservatezza che spesso ha portato l’opinione pubblica a puntarle il dito contro. L’ha detto Calimani stesso, lo scorso sabato, durante la cerimonia per la Giornata della Memoria alla Fenice. A un teatro gremito, il presidente della comunità ha spiegato che il loro è «il silenzio del dolore, della disperazione e dell’impotenza».