Quattro anni per una diagnosi di anoressia. L’inferno di Anna Trevisan e della sua famiglia
foto da Quotidiani locali
Il tempo scorreva e ogni giorno che passava Anna Trevisan veniva risucchiata sempre di più dal vortice della sua malattia, l’anoressia, mentre per i medici non c’era nulla di cui preoccuparsi. In fondo era magra, sì, ma il Bmi (l’indice di massa corporea)non era poi così basso.
Per Anna Trevisan e per la sua famiglia, ci sono voluti quattro anni per arrivare ad avere una diagnosi di anoressia. Quattro anni in cui il peso scendeva, il piatto restava vuoto, i piedi di Anna pedalavano veloci sulla cyclette, per bruciare quante più calorie possibili, poi le abbuffate, il vomito, e ancora il digiuno. Quattro anni in cui sua madre, Gabriella Chiericato, la porta da medici, specialisti e psicologi. «Sottovalutavano tutti la situazione, mi facevano passare per la mamma apprensiva» racconta.
«Io la vivevo come un’imposizione, non volevo farmi aiutare, non credevo di averne bisogno» racconta la giovane, aggiungendo che in quel periodo riusciva a controllare - o almeno la percezione era quella - il suo disturbo alimentare. Poi è arrivata la pandemia e le parti si sono invertite: ora era l’anoressia a controllare Anna, a imporle routine rigide, digiuni e addominali prima di dormire. E il peso, drasticamente, ha iniziato a diminuire.
Nel giugno del 2020, Anna fa la prima visita alla Clinica delle Farfalle, dell’Usl 4 a Portogruaro. Come una doccia gelida, la dottoressa si rivolge alla madre: «Signora, sua figlia sta morendo» spiega. Quattro mesi dopo, Anna entra nella comunità riabilitativa dove resta per 9 mesi.
«Un’eccellenza, un bel posto, facevo mille attività, mi sono trovata bene. Lì, mi hanno salvato la vita» commenta la ragazza. «Ci hanno salvato la vita» precisa la mamma, aggiungendo che dopo il ricovero non è stato facile sapere cosa fare, a chi affidarsi, e dopo diverse esperienze negative tra Dolo e Mirano, ora Anna è seguita dal centro dei disturbi alimentari di Padova, «Senza il dottor Collantoni, il mio psichiatra, non so come avrei fatto».
Anna non nasconde come stia oggi. «Ho quella voce sempre in testa, ma non voglio ripetere l’orrore di prima. Dalla comunità ho acquisito gli strumenti per affrontare la situazione».