Nei campi può spuntare un milione di posti di lavoro
Ci salverà l'agricoltura? «Tolga pure il punto interrogativo; il lavoro dei campi, l'agroalimentare, la difesa ambientale sono il futuro dell'Italia, lo ha dimostrato la pandemia: senza agricoltura non c'è sviluppo e non c'è possibilità di sopravvivenza, il settore primario è centrale e ora è tornato a esserlo anche nella percezione degli operatori e nelle agende economiche. È necessario però che si consolidino le alleanze strategiche. Questo è un ruolo che il mio gruppo si è assunto».
A parlare è Federico Vecchioni, amministratore delegato di B.F. spa di cui Bonifiche Ferraresi è «magna pars»: 9.300 ettari coltivati, una delle più grandi e articolate imprese agricole d'Europa, 100 milioni di fatturato, un marchio fortissimo di distribuzione come Le Stagioni d'Italia, garanzia di qualità per i consumatori. «A dire la verità se li mettiamo tutti insieme gli ettari che abbiamo integrato o che serviamo con i nostri servizi sfiorano i tre milioni e questa dimensione dà il senso della rilevanza del settore primario. L'agricoltura produce alimenti che devono essere in quantità sufficiente e di massima qualità, ma lavora per salvaguardare la terra e per la qualità ambientale. Tutto il dibattito sullo sviluppo "green" rende imprescindibile misurarsi con l'evoluzione del settore». Con gli aiuti per una riconversione «verde», grazie ai fondi del Recovery plan, c'è una crescita potenziale di un milione di posti di lavoro. Sarebbero essenziali in una filiera che a fine 2020, secondo i dati Coldiretti, registrerà una perdita di 9,6 miliardi di euro.
Federico Vecchioni è ottimista. È un manager cresciuto in campagna: partito dall'azienda di famiglia nel grossetano si è laureato in Agraria a Firenze, si è occupato dell'evoluzione del primario operando nel credito agrario, nelle politiche agricole europee, approdando a una visione tecnologica dell'agricoltura «ma senza dimenticare la tradizione e le radici culturali; perché in Italia facciamo agricultura e ci tengo a sottolineare la "u"». È stato vicepresidente dell'Accademia dei Georgofili - la più antica istituzione agricola del mondo - e in quel sancta sanctorum del sapere si respirano la centralità e l'evoluzione del settore primario.
«Da maremmano» sottolinea «ho davanti a me due orizzonti: il mare e i campi e la prospettiva s'allunga all'infinito». Da quando è diventato amministratore delegato di B.F. spa che è la capogruppo quotata in Borsa - controlla Bonifiche Ferraresi, IBF ovvero la società di servizio che in accordo con Ismea si occupa di agricoltura di precisione, Sis (Società italiana sementi, uno dei maggiori operatori continentali del settore, in particolare nei cereali), Leopoldine (società immobiliare) e BF agroindustrie che ha anche il marchio Le Stagioni d'Italia - Vecchioni ha progettato uno sviluppo continuo, ma lineare per l'integrazione totale di filiera.
«Per capire cosa significa e quale portata innovativa possegga basta pensare a Le Stagioni d'Italia: produciamo, pasta, riso, olio, legumi, tisane, miele che vengono dai nostri campi - da Jolanda di Savoia alla Sardegna passando per la Toscana - e offriamo agli italiani la grande agricoltura come garanzia di qualità assoluta: io lo chiamo un processo dal seme alla tavola. Questo percorso non solo accorcia la filiera, non solo offre uno sbocco distributivo immediato alle nostre produzioni, ma chiama il consumatore a partecipare al valore agricolo. E così come si fa con le Stagioni d'Italia va fatto con tutta la produzione agricola. Per questo BF si candida a interpretare un ruolo autorevole nella costruzione di un'alleanza strategica nella prospettiva di una equilibrata integrazione».
Tradotto vorrebbe dire chi fa da sé fa per tre? «Beh se la vogliamo semplificare sì; c'è un disequilibrio fortissimo tra chi produce, chi trasforma, chi intermedia e chi distribuisce. Bisogna che gli agricoltori si facciano protagonisti della distribuzione e che le marginalità positive vengano più equamente distribuite. Il lavoro che si è fatto e si sta facendo con Filiera Italia per la difesa e valorizzazione della qualità attraverso un'interazione degli attori del comparto agroalimentare, ancora una volta passa dal seme alla tavola. E il rapporto con Coldiretti va in quella direzione».
Sottolinea Vecchioni: «Di certo quel chi fa da sé va inteso come costruzione di una rete agricola che tiene insieme il settore e lo fa muovere con una strategia condivisa e comune. Quanto a BF, noi siamo un operatore privato che investe anche in tecnologie, in innovazione, che guarda alla distribuzione e intende indicare una strada all'agricoltura: noi passiamo da land a food company e il nostro marchio BF si può tradurre in "best field, best food": cioè i migliori campi il miglior cibo». Lungo questa traiettoria di sviluppo, il gruppo Bonifiche Ferraresi sta crescendo molto anche in termini di volume economico. La semestrale di quest'anno espone un valore della produzione di 46 milioni e 339 mila euro, con ottimi risultati di Le Stagioni d'Italia, del comparto zootecnico e di quello agricolo compensati però da una minore performance del sementiero; ed è stato completato l'aumento di capitale da 46 milioni di euro che oggi consente a BF di lanciare nuove sfide. La prima è stata l'operazione Cai, Consorzi agrari d'Italia.
«È un'operazione strategica per l'agricoltura» dice Vecchioni. «Significa dare alle imprese servizi integrati di grande efficienza e qualità. Ci aspettiamo di generare molto valore, BF è l'azionista di riferimento con il 36,79 per cento del capitale, ma la logica è sempre quella di integrare la filiera. BF è passata da 129 a 616 milioni di capitalizzazione in due anni, il traguardo del miliardo è a portata di mano così come quello dei 100 milioni di fatturato. Queste grandezze economiche sono le fondamenta per uno sviluppo che anche attraverso i Consorzi restituisce valore agli agricoltori, aggrega le Pmi agricole e di trasformazione, che anche attraverso l'agricoltura di precisione, l'espansione del biologico, le nuove tecnologie dà più profitto agli agricoltori e maggiore garanzia di qualità ai consumatori. Agricoltori e consumatori sono i clienti di Consorzi d'Italia, che diventano oggi ancora più efficienti». In altre parole vuol dire anche pensare a supermercati dei contadini? «Intanto abbiamo cambiato e reso proficuo il nostro rapporto con la grande distribuzione. Esperienze come quelle di Coldiretti con Campagna Amica indicano che c'è uno spazio anche per pensare a una distribuzione diretta di filiera».
Anche perché la crisi da virus cinese ha generato problemi anche all'agricoltura. «Con il ministro Teresa Bellanova abbiamo affrontato la necessità di sostenere il settore primario, ma è in sede europea che va posto il tema della centralità agricola. Ancora non è chiaro come sarà la nuova Pac, la politica agricola dell'Unione, certo è che il commissario europeo Janusz Wojciechowski deve affermare il ruolo cardine dell'agricoltura nello sviluppo europeo e la Pac deve essere uno strumento di competitività per gruppi come BF così come il richiamo allo sviluppo green deve essere un elemento di valorizzazione dell'agricoltura presso i consumatori».
Guardando oltre i confini italiani Bf ha promosso un lavoro di internazionalizzazione. «Ci siamo affacciati in Kazakistan, negli Stati Uniti, in Ghana, lo abbiamo fatto affiancandoci per esempio in Africa a Eni, stiamo sviluppando collaborazioni con Leonardo. E poi lo abbiamo fatto con Tim per l'agricoltura di precisione. L'Italia ha nel comparto - se fa squadra - un potente motore: i successi del made in Italy agroalimentare lo confermano. I giovani già si affacciano a questo settore, il contenuto di tecnologia nel primario è già molto alto. È chiaro che nel mercato globale si sopravvive se si hanno dei player capaci di reggere le sfide. Noi di BF vogliamo essere uno di questi giocatori. Con la bandiera italiana».