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ATP Shanghai, Djokovic: “Stagione troppo lunga. Mi piacerebbe affrontare ancora Sinner. A Torino …”

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Alla vigilia del suo esordio al Rolex Shanghai Masters, Novak Djokovic si è presentato davanti ai media con il consueto mix di calma, lucidità e consapevolezza. Il numero 5 del mondo, atteso domani sul centrale non prima delle 12:30 italiane per il match di secondo turno contro Marin Cilic, ha risposto alle domande dei giornalisti spaziando tra i temi più caldi del momento: dalla gestione del calendario alle sue motivazioni, passando per i rapporti con i giovani e le ambizioni future. Di seguito, i passaggi più significativi della conferenza stampa del 24 volte campione Slam.

D: Puoi parlarci del tuo successo qui a Shanghai? Nel 2008 hai vinto la tua prima Masters Cup – che poi sono diventate le ATP Finals – e in carriera ne hai conquistate sette in totale. Hai vinto anche quattro volte questo torneo. Che rapporto hai con Shanghai e con i tuoi successi qui?
Novak Djokovic: “Sì, nel corso degli anni questo è stato un torneo straordinario per me. Come hai ricordato, nel 2008 ho vinto qui la mia prima Masters Cup – o World Tour Finals, come si chiamava allora. A parte lo Slam che vinsi in quella stagione, quello fu il mio trofeo più importante. Mi sentivo davvero al settimo cielo dopo quel trionfo. Il sostegno che ho ricevuto da allora in Cina è stato incredibile, sia a Pechino che a Shanghai”.

“Amo tornare a giocare qui davanti a un pubblico che mi trasmette sempre tanta energia, vibrazioni positive. Ogni sessione di allenamento sembra quasi una partita, con tutta quella gente presente, che urla, che mostra il proprio affetto e la passione per quello che faccio. Mi sento molto ben accolto, e onestamente è probabilmente il motivo principale per cui ho scelto di venire qui. Mi sento bene a giocare qui, quasi come fossi a casa. Probabilmente, al di fuori della Serbia, è il luogo dove ricevo il maggior supporto al mondo.

D: Come sai, i tifosi amano questa rivalità che hai con Jannik Sinner e Carlos Alcaraz. Dopo la semifinale dello US Open hai detto che è davvero molto difficile competere con loro al meglio dei cinque set. Ti senti più fiducioso quando li affronti al meglio dei tre?
Novak Djokovic: “Beh, sì, la componente fisica è logicamente il fattore più importante quando si gioca al meglio dei tre set rispetto al meglio dei cinque. Ma ovviamente è tutto collegato anche all’aspetto mentale e al livello di gioco. Se non sei al cento per cento fisicamente contro questi ragazzi, ti senti come se fossi mezzo passo più lento, e questo incide su tutta la partita. Sugli scambi, sul ritmo, su diversi aspetti del gioco. È quello che intendevo dire dopo lo US Open. Affrontare questi giocatori nelle fasi finali di un torneo al meglio dei cinque set è davvero una grande sfida per me. Sento di arrivare meno fresco rispetto a loro in semifinale. E va bene così, è un fatto biologico che alla fine devo accettare”.

“Sto comunque facendo tutto il possibile, al massimo delle mie possibilità nelle circostanze attuali, per mettermi alla prova contro questi ragazzi – o forse più ancora contro me stesso – e vedere fin dove riesco ad arrivare nei tornei a cui partecipo. Certo, al meglio dei tre set, in un torneo che dura idealmente una settimana – anche se ormai quasi tutti i Masters 1000 si giocano su due settimane – sento di avere più possibilità di arrivare in fondo o di vincere un titolo. A parte le partite che ho perso contro quelli che oggi sono i due migliori giocatori al mondo, credo di aver giocato un ottimo tennis negli Slam, raggiungendo la semifinale in ognuno di essi. Questo dice molto sul mio livello e sulla mia costanza, e ne sono soddisfatto, ovviamente”.

Ma dentro di me c’è sempre quella parte che vuole vincere, che vuole essere la migliore. Ho avuto la fortuna di vivere le cose più grandi che questo sport possa offrire, in oltre vent’anni di carriera. Per cui sì, non è una sensazione ideale quando arrivi a giocarti match importanti e perdi contro i migliori del momento. Ma allo stesso tempo non è qualcosa che mi scoraggia. Non gioco a tennis solo per i risultati o per vincere trofei: ci sono anche altri motivi che mi spingono ad andare avanti”.

Uno di questi è senz’altro il sentire l’amore e il supporto del pubblico in tutto il mondo, e la speranza di poter continuare a contribuire, partecipando ai grandi eventi, alla crescita del tennis come sport. È questo che mi dà motivazione. E ogni volta che entro in campo e sento la gente chiamare il mio nome, tifare per me… mi vengono ancora i brividi. È una sensazione bellissima”.

D: Hai reso chiari i tuoi obiettivi in questa fase della carriera. Ma mi chiedevo: a casa, i tuoi figli – che ora sono abbastanza grandi – cosa ne pensano? Ti dicono: “Dai papà, proviamoci ancora”, oppure “va bene così”? Visto che Torino si gioca al meglio dei tre set ed è in programma tra poco…
Novak Djokovic: Sì, beh, mio figlio gioca a tennis più dell’altra e segue molto quello che succede. Voleva davvero venire con me in Cina, insisteva per viaggiare insieme. Vorrebbe accompagnarmi ovunque, ma deve andare a scuola, quindi non è così semplice. Ma è veramente innamorato del tennis, dello sport. Sì, i miei figli e mia moglie sono i miei più grandi sostenitori. Quando sono allo stadio, si vede quanto ci tengono, quanto partecipano con passione e vivono ogni punto insieme a me. Vederli sugli spalti per me è ancora più motivante. Amo averli con me”.

Allo stesso tempo, però, i bambini non possono vivere la vita del papà: devono vivere la loro. Cerco di sostenerli, di esserci per loro. Ma sì, credono in me. Mi vedono sempre come il migliore. Quando ho momenti in cui magari dubito un po’ di me stesso, sono loro a ricordarmi cosa ho realizzato e perché credono ancora che io possa farcela. Il loro supporto è molto importante per me. Mi hai chiesto di Torino. Sì, è un torneo dove ho avuto buoni risultati negli ultimi anni, l’ho vinto due volte, e spero di poterci tornare, vedremo. Non faccio più piani a lungo termine, l’ho detto anche a New York. Dopo Shanghai, l’unico torneo che so per certo che giocherò è quello ad Atene. Vedremo se poi giocherò anche a Torino, al momento non ne sono sicuro”.

D: Il torneo di Shanghai, nel corso delle edizioni, ha visto numerosi miglioramenti e ogni anno ha attirato sempre più top player. Qual è, secondo te, il ruolo che questo torneo ha avuto nello sviluppo e nella promozione del tennis a livello mondiale, e più nello specifico in Cina? E quanto ha contribuito anche a promuovere la città di Shanghai?
Novak Djokovic: “Sì, beh, come dicevamo all’inizio, Shanghai ha ospitato – non ricordo esattamente per quanti anni, credo quattro o cinque – la Masters Cup, che oggi si chiama ATP Finals. Poi, dal 2009 in avanti, è diventato il Rolex Shanghai Masters. A parte gli anni del COVID, in cui il torneo non si è disputato, si è sempre giocato ogni stagione. Credo che sia un torneo molto importante per la promozione del nostro sport a livello globale, ma in particolare in Asia, in Cina e in questa parte del mondo, che magari non segue con la stessa intensità altri tornei che si giocano in altri continenti”.

È fondamentale che ci siano eventi di questo livello, in grado di promuovere il tennis e attirare l’attenzione dei giovani cinesi verso questo sport. La Cina è il Paese più popoloso al mondo, insieme all’India. E sappiamo che il popolo cinese ama gli sport con la racchetta. C’è una lunga storia, una tradizione e una cultura legata al tennis, al ping pong e ad altri sport simili. Quindi è fantastico. Si percepisce chiaramente l’entusiasmo per il tennis, qui a Shanghai ma anche a Pechino. Non gioco a Pechino da molto tempo, ma lì ho vissuto bei momenti e ottenuto grandi risultati nella mia carriera”.

Penso davvero che questo sia un torneo eccezionale, e che debba assolutamente continuare a far parte del calendario. E vedremo… so che c’è anche molto interesse per organizzare tornei WTA qui. In termini di calendario, la Cina ha molti più tornei femminili rispetto a quelli maschili. Storicamente, i due tornei ATP principali sono stati Pechino e Shanghai, che sono entrambi straordinari. E come dicevi tu, tutti i migliori giocatori del mondo sono sempre venuti a giocare questi eventi”.

D: Sei d’accordo con le critiche al calendario fatte questa settimana da Alcaraz, Swiatek e Coco Gauff? E, collegandomi a questo, ti piacerebbe affrontare di nuovo Jannik Sinner, considerando che ha appena finito di giocare?
Novak Djokovic: “Rispondo prima alla seconda domanda. Mi piacerebbe molto avere l’occasione di giocare contro Jannik. Vorrebbe dire che ho raggiunto la semifinale (ride), e sarebbe un’ottima cosa. Vedremo. Ovviamente, ultimamente è stato lui a vincere la maggior parte dei nostri ultimi confronti. Abbiamo giocato la finale qui l’anno scorso, è stata una bella partita, quindi spero di avere un’altra opportunità. Puoi dirmi esattamente di cosa si stavano lamentando, in merito al calendario? Cosa, nello specifico, del calendario?”.

D: Intendo dire che, secondo loro, non c’è abbastanza tempo per recuperare. Alcaraz ha detto chiaramente che qualcosa va cambiato nel calendario: ci sono troppi tornei, la stagione è troppo lunga e non lascia ai giocatori il tempo necessario per recuperare fisicamente.
Novak Djokovic: “Sì, sono d’accordo. La stagione è estremamente lunga. Ne parliamo da anni. Onestamente, non vedo molti cambiamenti all’orizzonte finché non ci sarà un’unione tra i vertici del tennis: ATP, WTA, i quattro Slam, l’ITF… Sono tutti separati, ognuno ha i propri interessi. Fino a quando non ci sarà un’organizzazione unica, una governance centralizzata che possa prendere decisioni per il bene comune del tennis, sarà molto difficile trovare un calendario sostenibile a lungo termine. È chiaro che serve una stagione più corta, che servono più pause, non solo per il corpo, ma anche per la mente. Quindi capisco perfettamente ciò che dicono Carlos, Iga e Coco”.

Sono ancora molto giovani, e se già ora sentono il peso del calendario, immaginatevi come sarà tra dieci anni, se nulla cambia. Il tour è costruito in un modo che spinge sempre per avere di più: più tornei, più settimane, più contenuti. Ma alla fine siamo esseri umani, non robot. Personalmente, sono sempre stato contrario all’allungamento della durata dei tornei Masters 1000. Fin dall’inizio, ero contrario a questa idea. In effetti, quando ero nel consiglio dei giocatori – credo fossi anche presidente del consiglio a quel tempo – non l’ho mai supportata. Secondo me, per i giocatori non è una cosa positiva”.

Da un lato, per me, alla mia età, avere più giorni tra un torneo e l’altro può essere utile. Però, nel complesso, per la maggior parte dei giocatori, questo significa togliere giorni dal calendario, ridurre il tempo totale a disposizione. Personalmente, quindi, non sono favorevole. Capisco che per i tornei ci siano dei vantaggi, ma come giocatore non l’ho mai apprezzato. Quindi capisco chi, tra i colleghi, è contrario a questa scelta, e ora si stanno rendendo conto che forse non è stata una buona idea. Allo stesso tempo, però, bisogna ricordare che il tennis è uno sport individuale e alla fine ci sono delle scelte da fare. Ci sono regole imposte, ma molte riguardano i bonus. Si può anche decidere di rinunciare ai bonus, se si vuole giocare meno. Inoltre, ci sono anche le esibizioni a cui i giocatori partecipano volontariamente, quindi la situazione è un po’ contraddittoria”.

Ne parlo da tanti anni, non è la prima volta che affronto questo argomento. Chi mi conosce, sa che già più di 15 anni fa parlavo della necessità di riorganizzare il calendario e il sistema. Questo ben prima che nascesse il piano trentennale per i Masters. È un tema molto complesso, non so da dove cominciare e dove finire. Ci sono molti aspetti da considerare. Negli ultimi tre, quattro decenni si è creato un vero e proprio monopolio in questo sport, e ci sono persone che non vogliono cambiare le cose, soprattutto quando si tratta del benessere dei giocatori. Ognuno pensa ai propri interessi, è comprensibile, fa parte della logica commerciale”.

Alla fine, come giocatore che compete ai massimi livelli da oltre 20 anni, posso dire che i giocatori non sono abbastanza uniti. Non partecipano abbastanza quando dovrebbero. Si lamentano, fanno dichiarazioni, poi spariscono. E se qualcosa non va, dopo un po’ tornano a protestare. Però bisogna investire tempo ed energia personalmente, non delegare ad agenti, staff o familiari, ma esserci in prima persona per capire come funziona il sistema, quali cambiamenti si possono ottenere, cosa migliorare nell’interesse dei giocatori. Per questo è fondamentale che i top player si siedano intorno a un tavolo, si rimbocchino le maniche e si impegnino davvero a capire tutte le questioni importanti. Perché andare in televisione o sui media a lamentarsi può attirare un po’ di attenzione, ma alla fine non cambia niente. Lo so per esperienza personale, credetemi. Quindi, sì, è un tema molto complesso”.















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