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Paolo Bertolino: “Il museo della racchetta nasce da una fotografia di Borg. Ne avevo 700, ora sono più di 1400”

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“Felicità non t’ho riconosciuta che al fruscio con cui ti allontanavi” (Camillo Sbarbaro)  

Ripensavo a questi delicati versi del poeta ligure mentre ammiravo alcune delle racchette con le quali Federer e Nadal si sono affrontati sul campo quaranta volte e riflettevo sul fatto che dall’ultima sono passati più di sei anni. La lontananza… 

La possibilità di provare un amarcord tennistico mi è stato offerto da Paolo Bertolino, creatore e curatore del MoR, ovvero il museo della racchetta. Il museo attualmente conta oltre 1.400 racchette custodite all’interno di un cascinale ristrutturato situato a Baldissero d’Alba un paese di circa 1.000 anime (circa 0,8 abitanti per racchetta) situato a meno di 15 chilometri da Alba (e a buon…gustaio poche parole). 

Le persone interessate ad una visita possono trovare tutte le informazioni utili sul sito www.museumofrackets.com. 

L’intervista che segue è frutto di una visita effettuata da chi scrive l’ultimo sabato di settembre, in fortunata coincidenza con una suggestiva cerimonia medioevale albese: la nomina del Podestà. 

D: Paolo raccontaci qualcosa di te e di come è nato questo museo  
Paolo Bertolino: “L’amore per il tennis è nato in gioventù quando ho iniziato a praticare questo sport. Ho pensato di trasformare la mia passione in un lavoro rilevando l’attività di incordatore di racchette davanti al circolo della stampa di Torino, il più grande d’Italia. Un passo alla volta sono arrivato anche ad accordare le racchette dei più grandi giocatori del mondo in tornei come Roma e Montecarlo”. 

D: E il museo del tennis come nasce
Paolo Bertolino: “Da una fotografia che vidi entrando in un negozio: Borg inginocchiato sul centrale di Wimbledon l’attimo successivo alla sua vittoria nella finale del 1978 mentre Connors si dirige verso la rete per stringergli la mano (ma più probabilmente con il desiderio di tirargli un cazzotto nda). L’immagine della racchetta sospesa in aria mi stregò”. 

D: Quando hai iniziato a collezionare racchette e a che numeri sei arrivato? 
Paolo Bertolino: “Circa 10 anni fa. L’inaugurazione del museo risale al 2016 in coincidenza con il ventennale dell’apertura del mio negozio. All’epoca avevo 700 racchette. Oggi i visitatori possono ammirarne più di 1400 delle quali 1187 catalogate, ovvero pezzi unici”.  

D: Come sei arrivato a numeri così importanti? 
Paolo Bertolino: In minima parte attraverso acquisti fatti ad aste e mercatini pubblici. Nella maggior parte dei casi attraverso l’altruismo di terzi che desideravano dare anche ad altre persone la possibilità di ammirare oggetti unici”. 

D: Quindi in tali casi le racchette restano di proprietà di chi le concede in uso? 
Paolo Bertolino: “Esatto. Per esempio la racchetta che stai fotografando – una real tennis lobside dei primi dell’800 in legno di frassino con le corde in budello ovino, la più antica della mia collezione– , mi è stata data da un maestro di tennis”.  

“Nella teca sottostante custodisco un modello top flight risalente agli anni ’30; questa racchetta è una delle primissime con il “cuore” del manico aperto; il medesimo modello fu utilizzato dal campione britannico Henry Wilfred “Bunny” Austin che fu il primo a scendere in campo a Wimbledon con la maglietta a maniche lunghe e i pantaloncini corti. E’ una racchetta molto rara affidatami da un collezionista di Busto Arsizio”.  

D: Ho notato che c’è una sezione del museo riservata a modelli di racchette che vanno dai primi del ‘900 sino agli anni ’50 che riportano il nome del giocatore che le utilizzava e la sua effige, ad esempio Lew Hoad, Pancho Gonzalez, Fred Perry, Jack Kramer… 
Paolo Bertolino: “Esatto. Tieni presente che sino agli anni ’60 il tennis era uno sport d’elite con poca copertura da parte dei mass media e, pertanto, l’immagine del giocatore veniva veicolata agli appassionati attraverso il disegno e il nome scritto sull’impugnatura dei loro attrezzi. Sino ad oggi non sono riuscito a trovare nulla riferibile al più grande tennista della prima metà del ‘900, Bill Tillden. Ma non dispero”.  

D: Ci sono altre collezioni private di racchette così importanti nel mondo? 
Paolo Bertolino: La mia è una delle più grandi sotto il profilo numerico. La più grande è quella di un tedesco che ha circa 5.000 racchette ma non è visitabile. Tra quelle visitabili il MOR è la più grande in Europa”

D: Hai provato sul campo qualche modello meno recente? 
Paolo Bertolino: Sì, quella di Connors, la più vincente in assoluto, 109 vittorie. Piatto corde 65, in acciaio cromo molibdeno. Questa racchetta fu costruita mettendo a frutto un brevetto di Lacoste risalente al 1962, che, grazie ad un accorgimento tecnico relativo al piatto corde, aveva notevolmente aumentato la potenza d’impatto sulla pallina. Ti assicuro, però, che mandare al di là della rete una pallina da tennis con un piatto corde così piccolo non è semplice“. 

D: Racchette particolari e ormai in disuso? 
Paolo Bertolino: Il museo offre ai visitatori la possibilità di vederne molte Per esempio la Ergonom, brevettata dall’Ingegner Carlo Gibello che fu messa sul mercato all’inizio degli anni ’80; come vedi la sua forma è insolita perché ha un’inclinazione verso l’alto dell’ovale di 42 gradi rispetto all’asse longitudinale; era pensata per favorire i giocatori di volo ma ebbe scarsa e breve diffusione. Se non erro un solo professionista entrato nella top 100 la utilizzò, tale Mario Martinez, un non indimenticabile tennista boliviano. Aveva un costo proibitivo per gli amatori e fu presto abbandonata; per vederla bisogna venire nel mio museo”. 

D: Oltre alle racchette vedo immagini di molti campioni. Con che criterio sono esposte? 
Paolo Bertolino: Nel museo sono esposte le immagini di tutti i plurivincitori di Slam a partire dall’era open unitamente ai modelli di racchetta da loro usati nell’arco della carriera. Nota bene: queste non sono le racchette da loro utilizzate, bensì i modelli. L’unica racchetta impugnata da un giocatore presente nel mio museo è quella di Boris Becker. Oltre ai giocatori sono altresì rappresentate alcune delle più grandi giocatrici di tutti i tempi”. 

D: Non vedo immagini di Sinner ed Alcaraz. 
Paolo Bertolino: “No. Per ora il museo è riservato a tennisti già ritiratisi ad eccezione di Novak Djokovic”.  

D: A proposito di giocatori: qualcuno è venuto in visita al MoR? 
Paolo Bertolino: “No e mi farebbe molto piacere ricevere la visita di qualche professionista e, naturalmente, quella di Ubaldo”. 

D: Il museo non custodisce solo racchette. 
Paolo Bertolino: “No, ci sono altri oggetti. Per esempio i modelli degli indumenti indossati da alcuni campioni e palline da tennis “vintage”, come queste Don Budge (primo realizzatore del Grande Slam nda) del 1938 conservate nella loro confezione originale, una delle prime pressurizzate immesse sul mercato. E per restare alle palline, sai perché le Dunlop Fort, il modello attualmente più vendute al mondo, si chiamano così? E’ un omaggio a John Boyd Dunlop, l’inventore del pneumatico, che nel 1881 brevettò il sistema ancora oggi utilizzato per fondere due mezze calotte di gomma e dare così vita alle prime palline simil-moderne; Dunlop sviluppò questo sistema all’interno di un vero e proprio castello o forte acquistato per l’occasione. Molto raro è anche questo doppio porta-racchette in legno”.  

D: Ci sono modelli di racchette che ancora non hai ai quali sei particolarmente interessato? 
Paolo Bertolino: “Ce ne sono molti. Se proprio dovessi scegliere direi i seguenti: Wilson Javelin anni 85/90; Dayton USA in metallo anni 25/30 con corde in metallo; racchette con manico in legno impugnatura fishtail o bulbus fine ‘800; Mc Gregor graphite di Lennart Bergelin; Tretorn con piatto corde intercambiabile 1970. Se qualche lettore vuole darmi una mano…”.

Le informazioni che trovate nell’intervista non sono che un piccolo assaggio delle innumerevoli storie che il Museo della Racchetta può raccontare partendo dagli oggetti che custodisce e dai campioni che li hanno utilizzati.  

Passeggiando per le sale dell’esposizione si potranno per esempio ammirare le racchette che per alcuni anni furono prodotte dalla Pirelli e poi vendute agli acquirenti di macchine di lusso che montavano pneumatici della casa milanese; scoprire che fu grazie all’Ingegner Warren Bosworth che le racchette dei migliori giocatori del mondo cominciarono ad essere realizzate in base alle loro caratteristiche fisiche e che il primo a beneficiarne fu Ken Rosewall nel 1972 mentre sino a quell’epoca le differenze tra una racchetta e l’altra erano costituite unicamente dai materiali con i quali venivano costruite. 

Chi è interessato a conoscere queste ed altre storie di tennis potrà farlo visitando il Museo ogni sabato pomeriggio e domenica, individualmente o in gruppi ai quali Paolo sarà lieto di fare da cicerone. 

Prima di chiudere, resi audaci dalla confidenza acquisita in due ore di conversazione, ci permettiamo di rivolgere nuovamente un appello ai lettori: chiunque sia in possesso di memorabilia tennistici e voglia mostrarli è pregato di contattare Paolo Bertolino presso il MoR; potrà così dare un contributo ad un’opera bella. 















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