Clavdio: «Sono il cantante operaio»
Questa intervista è tratta dal numero 16 di Vanity Fair in edicola fino a martedì 24 aprile 2019
Clavdio, con la V nel nome che dichiara subito la sua romanità, è Claudio Rossetti: metalmeccanico cresciuto nella borgata di Centocelle che, a 34 anni, conosce il successo come cantautore. Ma non dimentica le umili origini: viale Palmiro Togliatti attraversa il suo quartiere e dà il nome al primo album, Togliatti Boulevard. «Casa mia sta lì, nel punto peggiore». Mamma di Capo Verde, terzo di quattro figli, testa sulle spalle, Clavdio è cresciuto nella musica: il papà suonava la fisarmonica nella banda di paese. La scrittura per lui è uno sfogo di malinconia, che esorcizza con giochi di parole e tanta ironia: l’ultimo singolo, Nacchere, racconta di un viaggio insieme alla sorella, e lascia in bocca un sapore dolce-amaro. Le restanti otto tracce del disco, anch’esse autobiografiche, parlano d’amore, di ricordi, di momenti quotidiani. Sulla copertina c’è lui, seduto sulle montagne russe, unico serio in mezzo a un gruppo di sorridenti. Sono i colleghi dell’officina. E pensare che, fino a poco fa, il capo non sapeva che il cantante dalla voce profonda di Cuore – brano sempre in radio e con quasi tre milioni di visualizzazioni su YouTube – si celasse in quel gruppo di operai.
Lo scatto di copertina non sembra un posato d’autore.
«Infatti non lo è. Un anno fa abbiamo trascorso una giornata tutti insieme in un grande parco giochi di Roma. Io volevo una foto di me serio sulle montagne russe: ho obbligato i miei colleghi a fare tre giri finché sono riuscito a non ridere durante il flash. Alla fine l’ho comprata».
Loro cosa dicono della sua musica?
«Sono contenti. Per molto tempo non avevo rivelato nulla. Non mi piace dire: “Lo sai che suono?”. In generale non racconto molto di me. Il capo l’ha scoperto alla radio».
Racconti.
«Uno dei nostri venditori stava ascoltando la trasmissione in cui ero ospite. L’ha chiamato e gli ha detto: “Guarda che c’è uno dei tuoi operai che canta”. Non ci voleva credere».
Avrebbe preferito non lo scoprisse?
«Nessun segreto: semplicemente vivo il canto come qualcosa di molto normale. Non sento il bisogno di comunicarlo».
Da dove arriva questa passione?
«Ho sempre suonato e ascoltato molta musica in casa, fin da piccolo. Ho formato diverse band con gli amici: prima suonavamo punk rock, poi pezzi strumentali. Alla fine sono rimasto solo, ho vinto un concorso, ho inciso un disco. Mi chiamavo Il Rondine. Nel frattempo, sono stato impiegato sette anni in una tipografia, poi sono passato al call center».
Ha sempre lavorato?
«Sempre. Per potermi permettere la creatività. La musica soprattutto, ma anche varie idee e progetti a breve termine».
È diplomato alla scuola d’arte.
«Mi piace disegnare, inventare personaggi. Il mio primo nome d’arte nasceva proprio da un personaggio inventato».
A che punto Il Rondine è diventato Clavdio?
«Mi sono concesso una piccola pausa in Irlanda: vivevo in un pulmino e davo una mano a una famiglia irlandese. Quando sono rientrato qui ho ricominciato a scrivere. Un giorno ho contattato su Facebook Davide Caucci, fondatore di Bomba Dischi (la casa discografica di Calcutta, ndr) e gli ho inviato Cuore. Ha risposto subito, giusto il tempo di ascoltarlo. Sono stato fortunato. Mi ha chiesto di mandargli altri brani, ma io ero in giro per l’Italia: stavo cambiando gli impianti di illuminazione di una grande catena commerciale. Glieli ho spediti piano piano. Una volta tornato a Roma, ho trovato un posto come metalmeccanico, che è quello che faccio ora. Nel frattempo, Davide ha deciso di produrmi. Ma io non mi sentivo più Il Rondine: in quattro anni era cambiato tutto. Ho preferito usare il mio nome, e puntare sulla scrittura autobiografica per far capire subito che sono io. Che parlo di me».
Si aspettava il successo di Cuore?
«Ho sempre creduto nella mia musica. Ma solo quando tutto è esploso mi sono reso conto che ci credevo davvero. Il successo è una sensazione strana: quello che mi colpisce è la felicità della gente».
Su Instagram si definisce «allegretto moderato».
«Io sono un ironico malinconico. Come nelle mie canzoni. I pezzi sono allegri se li senti senza ascoltare, ma se presti bene attenzione scoverai in ognuno un velo di struggimento».
Da dove arriva?
«Non lo so. Sono disilluso fin da bambino. Ero anche molto introverso e, ancora oggi, se devo pensare, mi isolo».
Sua madre è di Capo Verde. L’hanno mai etichettata come straniero?
«Per fortuna no. Nella mia vita, solo due volte qualcuno ha fatto riferimento alle sue origini. Origini che però io sento: casa mia è sempre stata molto aperta, chiunque arrivasse da Capo Verde passava da noi. Forse un po’ della mia saudade viene da lì».
Ora che tutto potrebbe cambiare, cosa farà?
«Non mi piace programmare, vivo in corsa. Con un disco uscito da poco devo pensare alla promozione e al tour».
E al lavoro da metalmeccanico?
«Finché posso, chiedo le ferie. Poi vedremo: forse mi dovrò licenziare. Ma, per ora, va bene così».