L’identità non è nel passaporto, Mathlouthi: «Io sempre differente»
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Colloquio con la cantautrice di origine tunisine prima del concerto all’arena: «Le migrazioni? Chiediamoci perché le persone devono partire
MANTOVA. Emel Mathlouthi, cantautrice di origini tunisine, è da poco tornata a vivere a Parigi dopo un lungo soggiorno a New York. «Questa storia dei passaporti è qualcosa che sento lontana da me. La mia identità è, ed è sempre stata, differente. Mi dicono che sono fortunata ad avere in tasca un passaporto americano, ma è una cosa che non mi tocca. Mi trovo bene ovunque, mi piace muovermi» esordisce mentre, sorridente, parla ai giornalisti facendo capire di esser in grado di comunicare in italiano, francese, spagnolo, inglese e arabo.
«La mia identità è molteplice. Non sono mai stata a Mantova, ma mi sento a casa anche se non conosco nessuno. Mi guardo attorno, vedo occhi, vedo volti, vedo la storia. Mi sento bene e felice». Il fatto di essere ospite al Festival non la stupisce. «Sono una musicista, innovo e sperimento, ma sono anche una cantautrice». Le va molto stretta la definizione di cantante etnica e non nasconde un certo disappunto verso chi, soprattutto in Francia, l’ha collocata in quella che viene definita la musica tradizionale africana.
«In casa mia, in Tunisia, ascoltavo Vivaldi; io sono cresciuta ascoltano Anna Oxa e Mietta, i Lacuna Coil, i Cranberries, Rammstein. Il mio ultimo album è ricco di suoni elettronici. Non c’è nulla di tradizionale. Non capisco perché gli artisti non occidentali debbano essere considerati solo in un contesto etnico e politico. Perché non possiamo essere visti semplicemente come artisti, e non come caricature?».
Anche il suo passato “impegnato” non viene rigettato - lei che è stata identificata, per lungo tempo, come la voce della Rivolta dei Gelsomini per via del brano Kelmti Horra (“La mia parola è libera”) - «ma senza dubbio sono cambiata, la mia personalità si è evoluta, come il mio sguardo e la mia musica. Mi interessa l’essere umano. Un artista ha il diritto di evolvere e proporre al pubblico il suo lavoro. Il concerto di Mantova (ieri sera a campo canoa, ndr)è il primo dopo il lockdown. Solitamente non propongo la mia musica in questo modo, e cioè accompagnata da un violino, da un violoncello e dalla mia chitarra elettrica. Ma questo è lo spettacolo che ora sento di proporre al pubblico. Ecco cosa intendo per evoluzione continua e per identità non per forza definita e stereotipata. Io sono differente, nella vita come nella musica e questa differenza caratterizza la mia vita, il mio sguardo e la mia musica».
Sul fronte dell’impegno politico, la Mathlouthi ricorda che «il meccanismo delle migrazioni è un fenomeno globale. Perché le persone partono? Questa è la domanda che ci si deve porre per cercare di capire come mai ci sono esseri umani che decidono di muoversi e superare confini. Senza dubbio non ci vorrebbero confini nel mondo, ma ci sono. Il problema del razzismo è reale e quotidiano, e sta diventando sempre più d’attualità, si sente e si percepisce».
Il suo ultimo album si intitola “Ensen”, ed è un lavoro dove predominante è la musica elettronica, «un ricerca in evoluzione fra sonorità della musica contemporanea e dell’elettronica pura». —