Al fianco dei bambini del Malawi che vivono al confine con l’umano
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foto da Quotidiani locali
Un viaggio ai confini dell’umano, in Malawi, nel cuore dell’Africa, dove una profonda desolazione affligge una terra malinconica e segna con crudeltà le vite di mamme e bambini.
A raccontare questo spaccato di realtà sono i pensieri usciti di getto dal cuore della dottoressa Federica Guidetti, cardiologa mantovana che lavora da molti anni all’estero, prima all’ospedale di Zurigo, ora al Karolinska Institutet di Stoccolma. Guidetti ha partecipato a molte missioni organizzate da “con vista sul mondo odv”, associazione del mantovano che opera per aiutare i popoli che vivono in una situazione di estrema povertà.
Qui la cardiologa racconta del suo ultimo viaggio terminato pochi giorni fa e descrive i danni causati dal ciclone che l’anno scorso ha devastato quella terra rendendola ancora più povera. Inoltre, ci mette in prima persona davanti ai volti tristi dei bambini, per cui nemmeno un gioco o un po’ di latte sono sufficienti per alleggerire la loro profonda sofferenza. Qui sotto il testo inviato alla Gazzetta di Mantova.
L’avventura
Da Phalombe, con la jeep carica di infermieri, medicinali e vaccini ci avviamo presto, come ogni giovedì, alla outreach-clinic. Per chi non fosse avvezzo al sistema sanitario malawiano, si tratta di presidi sanitari locali dove vengono somministrati vaccini e medicinali, e viene effettuato lo screening gravide e malnutrizione. La destinazione odierna è il villaggio di Nyambalo, sito a dieci chilometri dall’ospedale di Phalombe, dove per essere curati occorre pagare il pernottamento e i farmaci utilizzati, e a trenta chilometri dall’ospedale del governo, che è completamente gratuito, ma dispone solo di un infermiere ogni 60 posti letto e di due medici assunti per l’intera struttura, compresa l’attività delle sale operatorie.
Strade bianche
Dopo pochi minuti, abbandoniamo la comoda strada asfaltata per addentrarci nelle famigerate strade bianche africane. Un gran canyon fatto di buche e ponti pericolanti. Ci dicono tuttavia che siamo stati fortunati, la stagione delle piogge non è ancora iniziata e questo facilita di molto lo spostamento. Attorno a noi case fatte di fango che con i loro tetti di paglia divelti, mostrano ancora le ferite inferte dal ciclone Freddy.
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Il problema-abitazioni
Nonostante gli aiuti del governo, la maggior parte dei Malawiani non è ancora riuscita a riparare le proprie abitazioni; con la stagione delle piogge alle porte, la preoccupazione e il disagio aumentano. Per tutto il tragitto non incontriamo nessun’altra auto, solo alcune motociclette, molte biciclette e moltissimi viandanti.
La strada per Nyambalo ci dà la dimensione di cosa significhi vivere da queste parti.
Bisogni elementari
Per ogni bisogno elementare: reperimento dell’acqua, acquisto della farina, raggiungimento della scuola, del posto di lavoro o dell’ospedale le persone sono costrette a camminare ore e ore, a qualsiasi età, con qualsiasi condizione meteo o di salute, pena l’isolamento, la morte o la fame.
A chi poi abbia almeno una volta viaggiato in Africa, sarà nota la difficoltà dell’attraversamento dei confini. C’è però un confine che qui si valica senza passaporto, dove non è richiesto alcun visto, non ci sono sbarre, né guardie armate, è il confine dell’umano.
Il confine dell’umano
A pochi km da Nyambalo lo attraversiamo. L’auto si ferma a destra, scendiamo e dopo alcuni minuti di cammino raggiungiamo la casa di Nancy. É una donna sola, con due figli di uno e cinque anni. Il maggiore è affetto da paralisi spastica, non riuscendo a camminare deve essere accudito ventiquattr’ore su ventiquattro. Abbiamo saputo che da giorni non hanno di che mangiare e abbiamo deciso di andare a fare loro visita.
Le lacrime dei bambini
Al nostro arrivo i bambini piangono inconsolabili: hanno fame. Entriamo nella loro casa, è buia come la notte non essendo dotata di finestre, l’aria è pesante e notiamo che nell’unico spazio comune non ci sono né letti, né coperte; qui si dorme direttamente a terra. Non appena doniamo farina e sapone, la faccia di Nancy tira un sospiro di sollievo, sa che quello che abbiamo portato le basterà per una decina di giorni.
Outreach clinic
Prossima fermata: outreach clinic. Al nostro arrivo ad attenderci centinaia di mamme e di bambini. Sono felici di vederci, ci accolgono con un canto ed una preghiera. Le vaccinazioni e lo screening si svolgono ordinatamente e rapidamente, il sistema è rodato. Notiamo, però, che l’edificio che dovrebbe accoglierci è severamente danneggiato, che i farmaci a disposizione non sono sufficienti a coprire il fabbisogno, tutte le donne con cui parliamo ci riportano di come la fame le affligga e scopriamo che la maggior parte di questi bambini non va a scuola.
Daniele Benedini (medico di famiglia mantovano con il quale ho intrapreso questa avventura) ed io ci guardiamo lungamente negli occhi senza dire nulla: i confini dell’umano è uno di quei posti che toglie il fiato.
Il cibo come farmaco
Alla sera, entrambi conveniamo che il primo farmaco di cui questi bambini necessitino sia il cibo, e decidiamo che l’outreach clinic program debba al più presto prevedere, oltre alla distribuzione di farmaci e vaccini, anche quella di farina, così come la messa in sicurezza dell’edificio che ospita l’outreach clinic.
Conveniamo che non ci si possa nemmeno dimenticare di quei bambini, come il figlio di Nancy, affetti da paralisi spastica. Ne abbiamo incontrati parecchi in questi giorni, rappresentano veramente “gli ultimi tra gli ultimi” in questa terra disumana.
L’indomani parliamo con il nostro infermiere Steve e decidiamo di voler fornire ciascuno di loro di una carrozzella per facilitarne gli spostamenti, così come di farina e fisioterapia. È la nascita di due nuovi progetti, che portano con loro la speranza di lenire un po’ della sofferenza palpata nella terra al confine dell’umano.
È il nostro ringraziamento ed arrivederci a questa gente che ci ricorda come il confine dell’umano, seppur non segnalato e dimenticato, continui ad esistere e a dar casa a milioni di persone.
Nutriamo un sogno: regalare una scuola per Nyambalo.