In lista o no: partita personale fra tutti i leader alle europee

Saranno tutti in campo, alle Europee, i capi-partito. Indipendentemente dalla presenza del nome in lista o sulla scheda. Indipendentemente dalla volontà di giocarsela in prima persona.

È inevitabilmente così. La partita, ormai, si gioca anzitutto tra i leader: le persone. Complice il formato della competizione, nel voto di giugno si mescoleranno due tipi di personalizzazione. La micro-personalizzazione dei candidati a caccia di preferenze. La macro-personalizzazione dei leader, tutti in corsa – dicevamo – anche se con approcci diversi.

C’è chi, per strategia e vocazione, si espone totalmente. Con tutta la propria persona: “vota Giorgia”, candidata e “simbolo” di FdI. Persino Calenda, che aveva opposto il più fiero j’accuse nei confronti dei candidati di facciata – quelli che non andranno mai a Bruxelles – guiderà personalmente il suo partito. E la sua BlaBlaCar, con la quale offrirà passaggi agli elettori: li porterà personalmente (uno per uno?) a votare Calenda. L’ex-partner Renzi rivendica invece la scelta di non mettere il cognome nel contrassegno. E prende un (altro) solenne impegno personale: lui sì che ci andrà in Europa.

Singolare la scelta di Tajani. Ma solo per chi non conosce la storia di FI: che poi è la storia degli ultimi trent’anni di politica italiana. Il segretario sarà candidato, ma l’antico prototipo del partito personale manterrà il nome di Berlusconi nel simbolo. L’identità del fondatore, anche dopo la morte, continua a sovrastare quella del partito.

Arriviamo così ai tre leader che hanno maggiormente da perdere. Sembra esserne consapevole Schlein, alla guida di un partito storicamente impersonale e a elevato turnover nella leadership. Per questo, la segretaria è disposta a giocarsi il tutto per tutto: ha ottenuto la candidatura, le è stato negato il simbolo – solo Veltroni riuscì a inserire il proprio nome, e comunque durò poco.

Niente candidatura e niente simbolo per Conte. Timido riferimento personale nello slogan: “L’Italia che conta”. Del resto, il M5s non ha mai brillato nel voto continentale. E, in un partito ancora evanescente nella strutturazione (e nella democrazia) interna, il leader “conta”, probabilmente, di resistere anche in caso di risultato negativo.

Partito e organizzazione (locale) sembrano essere invece il problema di Salvini. Visto che la Lega mantiene quantomeno le vestigia del partito organizzato (ancorché in forma verticistica). Il riferimento è anzitutto al partito sul territorio, sempre più insofferente al corso salviniano. Ecco allora la soluzione estrema: la campagna per interposta persona.

Fuori il capitano, dentro il generale Vannacci, che può portare – forse – qualche voto in più, e magari prendersi parte delle colpe in caso di fallimento. Nel simbolo, però, c’è scritto Salvini. Almeno per ora.