Le tradizioni mantovane della Quaresima

Periodo di penitenza, espiatorio, di digiuno fino a Pasqua, che quest’anno è il 31 marzo: è la Quaresima, che finisce il giorno prima, il 30. Lunga: «At sé lungh (lunga, se femminile) cme la Quarésma»: per esempio, se c’è da prepararsi per uscire e la moglie o il marito non sono mai pronti (nel “Vocabolario mantovano-italiano” del 1882 Ferdinando Arrivabene scrive: «Dicesi di uomo pigro»).

In mezzo il Calendimarzo

E poi, in mezzo, c’è Calendimarzo, l’1 marzo appena passato. Per il digiuno (il mese del Ramadan dei musulmani inizia l’11 marzo) c’è da dire che tradizionalmente la Quaresima era rappresentata da una vecchia «inimica d’ogni bon bochone», come scrive Giovanni Tassoni nel libro “Tradizioni popolari del Mantovano”, edito a Firenze da Olschki nel 1964: nei tempi passati nessuna bottega poteva vendere alcunché di grasso, e un solo macellaio era autorizzato a dispensare la carne, esclusivamente ai malati, dietro ricetta medica vistata dal parroco. Ma proprio quando il digiuno stava per diventare insopportabile, ecco che in soccorso arrivava il quarto giovedì dopo le Ceneri, che quest’anno cade il 7 marzo: unico giorno in cui era concesso di rimpinzarsi e fare festa come se fosse Carnevale.

I fantocci da bruciare

Venivano bruciati fantocci e andava a fuoco la Vecchia (la nemica di ogni buon boccone) che a Medole era la “Vecchia bacucca” (nome derivato dal profeta Abacuc, morto a circa 300 anni di età, nella Bibbia) con tanto di “notaio” in marsina e cilindro con occhiali e baffi che leggeva il testamento della Vecchia condannata al rogo: la quale, alle signore coniugate, alle signorine che volevano sposarsi e alle trentenni ancora zitelle lasciava in eredità sottane di lana e di cotone, lenzuola e materassi, catenelle, orecchini, tegami e padelle. Cose da Regno d’Italia - dei re Vittorio Emanuele II e III, passando per Umberto I - poiché i precedenti dominatori, gli austriaci, non permettevano simili schiamazzi.

La Vecchia bacucca

A Mantova, dopo la lettura del testamento, la Vecchia bacucca (cioè la Quaresima) veniva segata “viva” e poi bruciata mentre il popolo esultava di gioia. A Viadana i carnefici con la sega erano Sandrone e Fasolino. Ogni paese aveva la propria Vecchia o il proprio fantoccio a cui fare la festa, tra le lamentele dei benpensanti e le rampogne dei parroci. La Chiesa avversava tali frenesie. Così agli albori del Novecento diventarono sempre più sporadiche. Marzo veniva atteso già nelle ultime tre sere di febbraio, quando si cominciava ad “andare incontro al mese” con una serie di riti propiziatori. A Sermide e a Quistello lo scherzo era di appendere ai rami degli alberi le pubblicazioni dei matrimoni andati a monte durante il Carnevale, maritando e ammogliando per finta persone che di sposarsi non avevano alcuna voglia.

“Mars contra mars”

Nel sonetto in dialetto mantovano “Mars contra mars” don Doride Bertoldi verseggiava lo sbraitare e il frastuono di barattoli, coperchi e latte di metallo (i latùn) sotto le finestre di vedovi e vedove o di persone in età matura che venivano istigate a sposarsi. A Revere le madri di famiglia nascondevano lattoni, vasi di ferro e di rame, palette e molle da camino e tutto ciò che poteva fare fracasso.

Celebrare la primavera

Addentrarsi nel mese di marzo significava celebrare la primavera in arrivo. Era un inno al risveglio della natura, alla continuità delle messi e della prole. Sotto la finestra di una ragazza in età da marito, cioè giovanissima, il corteo si faceva silenzioso. Poi una voce intonava: «Chì ‘gh sta na bèla pütèla: chi èla? chi n’èla?». Tradotto: “Qui abita una bella ragazza: chi è? chi non è?” Tutto un altro mondo, scomparso.