All’Ariston di Mantova l’incontro del nipote di Ambrosoli con gli studenti
«La vita è l’arte dell’incontro»: cita la frase di don Luigi Ciotti alla fine della lunga chiacchierata davanti agli studenti delle superiori al teatro Ariston, ma dalle sue prime parole capisci che quello è il suo viatico. Ha solo 24 anni Stefano Mattachini, ma porta con sè la storia di una generazione: perché Stefano, studente di scienze alimentari, attivista di Libera e impegnato nell’Agesci, è il nipote di Giorgio Ambrosoli, l’avvocato milanese assassinato nell’estate del 1979. Chiamato a dipanare la matassa del crac del banchiere Michele Sindona, venne fermato per aver scoperto le gravi irregolarità di cui la banca si era macchiata e le numerose falsità nelle scritture contabili, oltre alle rivelazioni dei tradimenti e delle connivenze di ufficiali pubblici con il mondo opaco della finanza di Sindona: che ne ordinò l’eliminazione. La madre di Stefano, Francesca, figlia maggiore di Ambrosoli, nel 1979 aveva undici anni, «io sono nato nel 2000, ma mio nonno è sempre stato una presenza viva, e non solo per le foto sul comò».
Il ricordo
Sceglie di entrare all’Ariston prima del termine del film “Giorgio Ambrosoli, il prezzo del coraggio” per vederne l’ultima mezzora. Con lui Rossella Canadè, la giornalista che lo intervisterà sul palco del teatro dopo la breve introduzione di Alessandra Riccadonna, l’assessora del Comune responsabile dell’osservatorio permanente sulla legalità che ha organizzato l’evento con Libera e Avviso Pubblico. «Ho rivisto un pezzo del film ma è stato un errore, perché mi ha turbato. Ancora. In famiglia siamo cresciuti con la figura del nonno da cui non si poteva prescindere. Non è stato un eroe, ma ha fatto quello che ogni persona dovrebbe fare: il bene per lo Stato, perché lo Stato siamo tutti, e lui ha lavorato perché i risparmiatori che si erano fidati della banca di Sindona riavessero i loro soldi».
Lo stato assente
E se Ambrosoli ha dato la sua vita per lo Stato, impermeabile a ogni intimidazione, lo Stato non ha ricambiato, almeno per molti anni. «Al suo funerale non c’era nessuno dei rappresentanti delle istituzioni, e per tanto tempo sembrava dimenticato. Non possiamo dimenticare le parole di Giulio Andreotti, quando disse che Ambrosoli “era uno che se l’andava cercando”. Il vento cambiò con il presidente Ciampi, che gli conferì la medaglia d’oro al valor civile. Poi ci fu Pisapia, che al tempo del processo a Sindona pur essendo uno degli avvocati della difesa, fece un discorso bellissimo sulla giustizia alla mia famiglia, e da sindaco fece rimettere la targa in memoria nella strada dove il nonno fu ucciso».
Il presente
Da qualche anno Stefano fa lo slalom tra lo studio e gli impegni con Libera in giro per l’Italia, a parlare con i giovani: «Oggi vi ho regalato questa storia, tenetela stretta e andate avanti, perché siamo noi che possiamo provare a cambiare le cose». Siete riusciti a perdonare gli assassini di tuo nonno? Alla domanda di uno degli studenti Stefano risponde che «abbiamo dato l’assenso alla grazia per Venetucci, il trafficante che mise in contatto Sindona con il killer, quando ce lo chiese sua figlia. Perché lui non si era mai pentito».