In fuga da Putin: per migliaia di russi la nuova casa ora è in Serbia
Le testimonianze: «La maggioranza è contro Putin. Ce ne siamo andati per motivi di sicurezza e anche per paura della repressione»
BELGRADO Sono ovunque, passeggiano nel centro di Belgrado, affollano i parchi, chiacchierano nei caffè e nei ristoranti, soprattutto quelli aperti da compatrioti, lavorano in ditte russe “fuggite” da Mosca dopo le sanzioni o inaugurano proprie aziende, facendola da padrone nel settore dell’information technology. Ma allo stesso tempo sono spesso come dei fantasmi, silenziosi – perché temono ritorsioni in patria, ma qualche volta anche nel Paese d’adozione, quella Serbia che ha sempre un occhio puntato all’Unione europea e un altro, di riguardo, verso Mosca.
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In migliaia dalla Russia
Sono i russi di Serbia, decine di migliaia di persone che, dal febbraio del 2022, hanno fatto le valigie, lasciando la Russia con gli unici voli ancora disponibili verso l’Europa. E hanno scelto il Paese balcanico per il proprio esilio. Chi sono? Perché sono andati via? E cosa pensano, che piani hanno, cosa sognano? Avere delle risposte è difficile, perché i russi, generalmente, declinano di parlare con i giornalisti. Ma dopo due anni in Serbia, il quadro è chiaro: sono giovani, tanti hanno famiglia al seguito, sono arrivati perché l’ingresso nel Paese è libero, senza i limiti imposti dalla Ue. E, secondo un sondaggio, solo il 3% è a favore di Putin, ma meglio non dirlo troppo in giro.
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I timori e le testimonianze
«Tanti temono di esporsi e avere poi problemi», conferma Maxim, “russo-belgradese” da prima della guerra, che si offre per dare una mano per scovare qualche compatriota disposto a parlare. «Personalmente, l’esodo non è stata una forma di protesta contro il regime politico del mio Paese, sono venuta qui per ragioni di sicurezza personale», racconta così Ekaterina, 36 anni, insegnante di inglese, con parenti in Ucraina «come tanti altri russi», che aveva provato anche nel 2022 a continuare le sue attività di protesta in patria, «ma mi sono accorta che potevano portare a terribili conseguenze». «L’ultima goccia è stata la legge Lgbt» e da lì si è decisa la partenza.
Chi è ripartito da zero
«La maggior parte dei russi che ho incontrato qui in Serbia non se ne è andata semplicemente per continuare ad avere una vita “normale”, c’è gente che ha cambiato professione ed è ripartita da zero», continua, assicurando di essersi trovata bene in Serbia – «hvala Srbijo!» – e di non aver avuto problemi con le autorità «anche se ho sentito di pressioni sui russi pacifisti», spesso scomodi per Belgrado e i rapporti con Mosca.
Contro putin
Pacifisti e anti-Cremlino che sarebbero la maggioranza. «Sono stata fra le organizzatrici di un exit poll per le presidenziali russe, la maggior parte dei giovani tra i 25 e i 45 anni russi se ne è andata per non prendere parte alla guerra e vota contro Putin», assicura Ekaterina.
Le ragioni
Fra i partiti ci sono Sasha, «andato via per non essere arruolato», e Boris, 28 anni, «tutta una vita a Mosca, ma ora qui mi sento come a casa». «Me ne sono andato – racconta – nel marzo del 2022, per paura della repressione, per il rischio di essere chiamato nell’esercito, per il timore della chiusura dei confini e per continuare a lavorare. In più, ero disgustato dal dover pagare tasse che poi contribuivano alla guerra».
I tempi cupi
C’è poi Dimitri, a Belgrado con la famiglia: «Quando Putin ha invaso l’Ucraina è stato uno shock, abbiamo capito che arrivavano tempi cupi e siamo partiti, scegliendo la Serbia piuttosto che Armenia o Georgia».
L’analisi dell’attivista
«I russi sono arrivati qui soprattutto perché il costo della vita è basso ed è facile ottenere il permesso di soggiorno», spiega da parte sua Anna, economista e attivista per la pace, 46 anni, da Mosca, ammettendo però poi che le porte chiuse dei Paesi Ue, anche per chi è contro Putin, hanno di fatto costretto alla scelta. Anna che poi tiene a sottolineare che «le sanzioni non funzionano, l’economia russa tiene e chi paga è la gente comune, inclusi gli avversari» del regime, come lei. «Me ne sono andata dalla Russia perché non sostenevo le politiche» del Cremlino e «non posso cambiarle. Un giorno, poi, passeggiando con una borsetta con una scritta di Gandhi, mi sono accorta di aver paura passando vicino a un poliziotto e da lì ho deciso» di andar via, racconta, seduta in un caffè del centro di Belgrado.
Il no alla guerra
La maggior parte è venuta in Serbia, spesso con famiglia al seguito, «dopo la coscrizione di massa, uno degli errori più grandi del governo russo. Perché tantissimi russi non volevano uccidere altre persone» e hanno scelto l’auto-esilio. E la stragrande maggioranza è «contro Putin, potrei dire il 90%, specialmente i nuovi immigrati», conferma la giovane H.R. «Io personalmente sono andata via perché sono contro la guerra, ho anche radici ucraine e il conflitto è una tragedia orribile, va fermato».
Il sogno di poter tornare
E il ritorno a casa? «Dopo l’uccisione di Navalny, difficile, ma c’è ancora qualche speranza, anche se oggi la Russia è un po’ come negli Anni ’50», durante la repressione stalinista, prevede sconsolata Anna. La gente può solo pregare «che muoia», sottinteso Putin, chiosa.
La prospettiva
«Vorrei tornare a San Pietroburgo, amo la città, amo il mio Paese», conferma anche Ekaterina. Ma ci vorranno «decenni per tornare a una qualche normalità».
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