Il veterano dei bagnini: ecco perché nessuno vuole più fare questo lavoro
Negli anni ’60 era la figura più ambita, il “re della spiaggia”, il riferimento assoluto per fiumi di turisti che sfociavano nelle località balneari di un’Italia in crescita e alla scoperta del benessere e del turismo. Una volta erano spesso pescatori, gente che si improvvisava sorvegliante in spiaggia sapendo nuotare meglio di altri.
Il bagnino, poi diventato assistente ai bagnanti con tanto di brevetto necessario per salvare le persone in pericolo, in possesso dei primi rudimenti per la rianimazione oltre che la capacità di nuotare in mare aperto. Ma se il sogno di ogni giovane era fare il bagnino e sedurre le turiste, oggi la professione non sembra più così interessante.
Se ne cercano almeno 400 sulla costa veneta, 4 mila in tutta Italia. E non si trovano. Carlo Minetto, jesolano, è stato bagnino per 35 anni, oggi che ne ha 68 è ancora in perfetta forma, insegnante di nuoto, in possesso di due brevetti, quello Fin della federazione italiana nuoto e poi della Società di Nazionale Salvamento. Quando era sulla spiaggia “annusava” il pericolo oltre che l’aria per capire se era in arrivo una burrasca da bandiera rossa.
L’intervista al bagnino veterano
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Minetto, non ci sono più i bagnini di una volta?
«Oggi si chiamano assistenti bagnanti, ma è sempre la stessa storia. Certo è un lavoro molto diverso, cambiato nei decenni, e non mi stupisce che i ragazzi non lo ritengano più tanto interessante».
Perchè accade questo?
«La prima ragione può apparire banale, ma è sostanziale: la paga. Una volta potevi guadagnare anche un milione e mezzo, un milione e 800 mila lire in una stagione lunga di sette mesi. Oggi sono 1500 euro al massimo, e per una stagione dai 3 ai 5 mesi, con una disoccupazione molto più bassa, ammesso che uno riesca a prenderla a fine stagione.
Non puoi investire in questa professione. Io facevo anche altri mestieri, ad esempio l’insegnante di nuoto, che era in qualche modo collegato e avevo il brevetto anche per questo. I corsi per ottenere i brevetti sono abbastanza costosi, richiedono impegno, e questo è giusto. In qualche caso è richiesta anche la patente nautica.
Aggiungiamo che non ci sono garanzie per un posto letto, almeno per chi viene da lontano. Allora i ragazzi magari pensano ad altro, studiano e hanno altre prospettive. Il gioco non vale la candela per loro, neppure per chi abita in zona. Anche perché non è un lavoro così rilassante.
Otto ore sotto il sole, fermi, a guardare il mare, stretti nella morsa del caldo. E se qualcuno è in pericolo non puoi sbagliare, perché ci sono responsabilità serie».
Si dice anche che oggi i bagnini non siano neppure più gli idoli delle bagnanti.
«A Jesolo, ad esempio, sono intrappolati nelle torrette del salvataggio, non si possono muovere e anche socializzare diventa un problema rispetto a un tempo in cui potevi camminare sulla spiaggia, salire in barca qualche ora a osservare la spiaggia da una postazione privilegiata. È tutto cambiato».
Come invertire dunque questa tendenza?
«Io credo fondamentalmente che si debbano destinare più risorse a questo settore che deve essere in primo piano. Consorzi, aziende partecipate e i soggetti coinvolti dovrebbero investire di più, fare marketing per avvicinare e attrarre i giovani, strutturare questa professione che è necessaria, ma che pare passata in secondo piano.
Non dico che una volta il bagnino fosse particolarmente valorizzato, ma il mondo era diverso e più semplice di oggi e quindi dobbiamo adeguarci al cambiamento in ogni senso».