Delitto Pamio, rigettata la richiesta di revisione. Monica Busetto in carcere fino al 2038
I legali: «Aveva molta fiducia di tornare a casa e che la sua innocenza sarebbe stata finalmente riconosciuta. Faremo ricorso in Cassazione»
“Richiesta di revisione è stata rigettata”. Le parole del presidente della Corte d’Appello di Trento Ettore Di Fazio richiudono in cella Monica Busetto almeno fino al 2038, fino a quando non avrà espiato tutta la sua pena: la Corte ha, infatti, respinto la richiesta di revisione del processo avanzata dagli avvocati difensori Alessandro Doglioni e Stefano Busetto. Alla lettura della sentenza, dopo una brevissima camera di consiglio della Corte, lei si è accasciata sulla sedia dell’aula: «Aveva molta fiducia di tornare a casa e che la sua innocenza sarebbe stata finalmente riconosciuta», dicono i legali all’uscita.
Invece, il cellulare della polizia penitenziaria ha riportato Monica Busetto al carcere di Verona, dove continuerà a scontare la sua condanna a 25 anni di reclusione per l’omicidio dell’anziana vicina di casa, Lida Taffi Pamio. Ne ha già espiati quasi11, dichiarandosi sempre innocente.
«Aspetteremo le motivazioni e ricorreremo in cassazione», il commento – amareggiato – dei suoi legali.
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Un caso unico
Un caso giudiziario unico nella sua genesi, quello iniziato con l’orribile delitto dell’anziana, il 20 dicembre 2012.
Una scena del crimine – quella del delitto Pamio – che a tanti anni di distanza mette ancora i brividi: l’anziana venne trovata con una palla di carta da cucina conficcata in bocca, il cavo del decoder della televisione attorno al collo, il corpo trafitto da molte ferite, inferte con quattro diversi coltelli, la lama di tre dei quali si è spezzata nella furia dell’omicidio.
Il processo
Per quel delitto l’ex operatrice socio sanitaria mestrina, oggi 61enne, è stata condannata in via definitiva a 25 anni dalla Corte d’Assiste d’Appello di Venezia: nessuna prova di lei sulla scena del crimine, ma a convincere i giudici è stato un microscopico frammento di Dna trovato su una catenina d’oro spezzata, saltata fuori mesi dopo il delitto da un cassetto di casa Busetto. Tre picogrammi, una quantità infinitesimale anche per la letteratura scientifica. La prima consulente medico legale della Procura non aveva trovato alcunché. Ma, mesi dopo, il Laboratorio della Polizia scientifica di Roma fece parlare quella traccia biologica: il Dna sulla collanina era di Lida Taffi Pamio.
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Il colpo di scena
La collanina d’oro è diventata così – per i giudici – la prova regina della colpevolezza, mettendo a tacere un’altra parte del racconto di questo delitto, quella risultata inverosimile agli stessi magistrati: il 29 dicembre 2015 viene arrestata Susanna Lazzarini per l’omicidio dell’81enne Francesca Vianello, strangolata con un cordino. Il movente: una lite per un prestito di 100 euro, che l’anziana rivoleva indietro.
“Milly” Lazzarini ammette subito il delitto Vianello e - qualche tempo dopo – racconta di essere lei ad aver ucciso anche la signora Lida: gli investigatori trovano così un riscontro tra il suo Dna e una traccia biologica rimasta sino ad allora ignota, mischiata a quella della vittima sulla scena del crimine. Per questo delitto anche Lazzarini – in un processo separato – sarà infine condannata a 20 anni, oltre ai 30 per l’omicidio Vianello.
Come è possibile? Per tre interrogatori – nella primavera 2016 – “Milly” si assume ogni colpa, scagionando del tutto Busetto, nonostante l’incalzare delle domande degli investigatori. Ma nell’ottobre 2016 cambia versione: “Busetto l’ha uccisa con me. È entrata e le ha dato il colpo mortale».
Il ricorso
«Riteniamo di aver dimostrato come a fronte della contestazione di uno stesso fatto storico, il delitto Pamio», intervengono gli avvocati difensori Doglioni e Busetto, “siano arrivati in tempi diversi due sentenze in contrasto tra loro: Busetto è stata giudicata dalla Corte d’assise d’appello di Venezia, chiamata a rispondere per un omicidio eseguito da lei in maniera esclusiva. Nel processo a Susanna Lazzarini si ipotizzava – invece – il concorso nell’omicidio con più persone, ma poi è stata ritenuta in sentenza lei l’unica responsabile».