Droga e soldi nascosti nei loculi, chiesti trent’anni di condanna

Quasi trent’anni di pena per aver utilizzato i loculi del cimitero di Chirignago come nascondiglio di cocaina e denaro frutto della vendita della droga. È la richiesta di pena avanzata dal pubblico ministro Andrea Petroni per gli indagati che hanno scelto il rito abbreviato nell’ambito dell’inchiesta “Hope”, così nota dal nome di Giuseppe Speranza, 43enne residente a Noale, accusato dalla procura di essere stato punto di riferimento di un ricco mercato dello spaccio, tra Mestre e il Miranese.

Droga acquistata e venduta a chili – è l’accusa – nel 2020 così come ricostruito nel corso delle indagine dei carabinieri. La richiesta avanzata dalla Procura si riferisce a quegli indagati – a vario titolo all’interno del gruppo – che hanno optato per il rito abbreviato (che prevede lo sconto di pena di un terzo in caso di condanna). Nel dettaglio, la richiesta è di 13 anni per Giuseppe Speranza, a cui si aggiunge la confisca di 240 mila euro; di 6, 8 anni per Baldan, più la confisca di 44 mila euro; di 4, 8 anni per Gobbo; 4 anni per Bettinelli e a cui sono già stati sequestrati 65 mila euro. Sentenza prevista per il 17 maggio.

Secondo la ricostruzione dell’accusa, Speranza era «promotore e organizzatore» del gruppo e coordinava «i rapporti con i fornitori e organizzava le consegne», aiutato dalla compagna Francesca Asciano. Diego Simion era, come Kreshpaj, custode (non solo di droga nel suo caso, ma anche di un vero e proprio arsenale a disposizione del gruppo) e corriere, mentre Ciro Pinto (chiamato anche “Don Ciro” ) aveva il compito di reperire nuovi canali di approvvigionamento. Quello più collaudato era il rifornimento dagli albanesi (Peza e Ibra) che importavano la cocaina dall’Olanda.

Oltre alla droga, il gruppo era dotato di una cospicua quantità di armi. Fatta cadere l’ipotesi iniziale di associazione per delinquere, il pubblico ministero Andrea Petroni ha ricostruito nel capo d’imputazione un quadro d’accusa che vede Speranza come riferimento per l’acquisto e la gestione della droga: per lui l’avvocata Stefania Pattarello ha chiesto il processo con rito abbreviato; così come ha richiesto anche l’avvocato Giuseppe Sarti per il miranese Davide Baldan, incaricato (per l’accusa) di proseguire l’attività dopo i primi arresti.

Ad ottenere il patteggiamento della pena sono stati: Francesca Asciano (3 anni, 6 mesi, 14mila euro di multa), Ciro Pinto (3 anni, 3 mesi, 16mila euro), Giuseppe Pinto (2 anni, 8 mesi, 11mila 500 euro), Nicola Artistico (2 anni 8 mesi, 11mila 700 euro), Ervin Ibra (5 anni, 31mila euro), Idriz Peza (4 anni, 10 mesi, 30mila euro), Moncef Mosbah (2 anni 10 mesi, 12mila 600 euro di multa, difeso dall’avvocato Mauro Serpico). Per tutti gli altri imputati è invece decaduta l’accusa prevista dall’articolo 74 del testo unico sugli stupefacenti, che punisce il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito.

L’esclusione dell’ipotesi associativa ha portato al proscioglimento di Diego Simion, 61 anni (avvocato Serpico), l’ex dipendente Veritas, nella cui casa, a Mira, nel febbraio del 2020 era stato rinvenuto un arsenale di armi: vicenda per la quale l’uomo è stato condannato a cinque anni di reclusione. La procura aveva chiesto di processarlo anche per aver partecipato ad un’organizzazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ma ora quell’accusa è caduta.