Il ponte di barche di Torre d’Oglio, amato dai cineasti
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foto da Quotidiani locali
Al di là del loro significato simbolico, i ponti hanno avuto una singolare attrattiva per i cineasti (da “Il ponte di vetro” (1940) di G. Alessandrini a “Il ponte di Waterloo (1940) di M. LeRoy, da “Il ponte sul fiume Kwai” (1957) di D. Lean fino a “Il ponte delle spie” (2014) di S. Spielberg, solo per citarne alcuni). Se poi è di barche il gioco è fatto.
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Era normale, fino al secondo dopoguerra, attraversare il Po sui ponti in barche. Nel Mantovano erano quattro. A Viadana fu tolto nel 1966; a Borgoforte quello in chiatte, inaugurato nel 1869, fu sostituito solo nel 1963, ma rimane visibile ne “Il mulino del Po” (1949) di Alberto Lattuada. A San Benedetto Po si dovette aspettare il 1966 (quello precedente era del 1920) e a Sermide quel ponte resistette addirittura fino al 1970. Oggi in tutta Italia sono rimasti due ponti di barche su strade “importanti”, uno nel Pavese, l’altro a Torre d’Oglio.
Il debutto
Costruito nel 1926, bombardato nel 1945 e presto ricostruito, passò di proprietà alla Provincia nel 1961. Il suo utilizzo come set cinematografico iniziò nel 1979, con il film di Pasquale Festa Campanile “Il corpo della ragassa”: Teresìn (Lilli Carati), una contadinotta, abitava vicino al ponte. Nel 1983 arrivò il “Don Camillo” di Terence Hill, girato tra Pomponesco e Gualtieri, Brescello e Reggiolo: Camillo-Terence Hill, con la motocicletta, lo attraversò più volte. Nel 1989 l’attraversamento dei Lanzichenecchi per “I promessi sposi” di Salvatore Nocita, con Alberto Sordi, Franco Nero, Burt Lancaster, Renzo Montagnani. Nel 1997, uno dei casotti di sorveglianza diventò la casa di uno dei protagonisti di “Il goal del Martin Pescatore” di Ruggero Miti con, tra gli altri, Mara Venier. Hanno attraversato il ponte per raggiungere Borgoforte, anche i protagonisti di “Radiofreccia” (1998) di Luciano Ligabue, con Stefano Accorsi. Nel 2021, è diventato il ponte distrutto dall’alluvione del Polesine del 1951 nel film “Lei mi parla ancora” di Pupi Avati con Lino Musella e Isabella Ragonese.
Fu costruito nel 1926
Monumento di archeologia dei trasporti, unisce le sponde dell’Oglio vicino alla confluenza nel Po. Nel 1913 vi fu il progetto dell’ingegner Arrivabene ma non fu realizzato causa l’inizio della Grande guerra. Nel 1922 il progetto dell’ingegner Rotter e finalmente nel 1926, fu costruito. Nel 1945 fu bombardato e alcune barche affondarono, ma venne sistemato in fretta e furia, tanto che a settembre fu riaperto, perché era di assoluta necessità. Dal 1961 la proprietà passò alla Provincia.
Quello di Torre d’Oglio è uno degli ultimi ponti di barche ancora in funzione. Anticamente il fiume veniva attraversato su zattere o battelli. La costruzione del ponte, voluta dai Comuni di Viadana, Dosolo e Marcaria, risale al 1926. La proprietà è della Provincia dal ‘61. In origine l’infrastruttura era caratterizzata da quattro diversi attracchi, posti ad altezze diverse lungo le sponde del fiume: la parte natante del ponte, manovrata da terra mediante un sistema di cavi, veniva spostata da un approdo all’altro a seconda del livello dell’acqua.
Nel 2009 una petizione per impedire l’ancoraggio
Negli ultimi quindici anni, la struttura ha subito due importanti interventi di ammodernamento, con l’obiettivo di rendere più sicuro il lavoro dei pontieri e minimizzare le chiusure al traffico. Con il primo intervento, il ponte è stato stabilmente ancorato al quarto approdo: l’adeguamento al livello del fiume avviene pertanto variando la pendenza delle rampe. I lavori in questione erano stati inutilmente contestati, nel 2009, da una petizione popolare, che aveva l’intento di preservare le caratteristiche storiche e paesaggistiche del manufatto.
In seguito, con il secondo intervento, le chiatte in cemento sono state sostituite da altre in acciaio: più resistenti, queste possono reggere il peso del traffico senza rischiare di schiacciarsi e rompersi anche in condizioni di siccità, quando cioè poggiano direttamente sul letto del fiume.
Grazie a questa innovazione, le chiusure per secca si sono pressoché azzerate: oggi le maggiori criticità viabilistiche sono date dall’esondazione del fiume sulla strada golenale, dal ghiaccio che rende sdrucciolevoli le rampe e dai conducenti di mezzi pesanti che, incuranti della segnaletica, finiscono per incastrarsi nella strettoia.