Ricchi e infelici, di Luca racconta le contraddizioni del capitalismo
UDINE. Anche i ricchi piangono, diceva tante stagioni fa il titolo di una soap opera a modo suo consolatoria e condivisiva per quanti ricchi non lo erano. Ora i ricchi tornano a piangere in un nuovo spettacolo, questa volta teatrale.
Salveremo il mondo all’alba, si intitola, lo ha scritto Gabriele di Luca per Carrozzeria Orfeo, uno dei gruppi di giovani leve uscite dall’Accademia Nico Pepe di Udine, che si è ritagliato un posto preciso nel panorama del nostro teatro grazie a un percorso artistico coerente e originale.
Dopo aver indagato, denunciato, ma anche sorriso, nei loro ultimi spettacoli, sugli ultimi, sugli esclusi, i ragazzi di Carrozzeria Orfeo con questo lavoro, che sarà di scena mercoledì 3 aprile, alle 20.30, al Palamostre di Udine per Teatro Contatto e il 4 al Rossetti di Trieste, affrontano il mondo del successo, del benessere, dei ricchi insomma, che tanto felici però non sono.
Salveremo il mondo prima dell’alba è diretto dall’autore con Alessandro Tedeschi e Massimiliano Setti, quest’ultimo anche interprete con Sebastiano Bronzato Alice Giroldini Sergio Romano Roberto Serpi e Ivan Zerbinati.
Uno spettacolo che radiografa la classe dei vincenti, di quelli che avrebbero tutto per essere felici e che invece come i poveracci che li invidiano e vorrebbero essere come loro patiscono frustrazioni, imposizioni, malattie dell’anima e disagi della psiche.
Perchè?
«Perché quello che vogliamo raccontare è il nostro mondo, caratterizzato da quel turbo capitalismo che non solo è appannaggio di pochi, ma fa sentire le sue sirene anche ai meno abbienti che lo hanno assurto a valore morale, a modello e aspirazione vitale. Un modello che ha colonizzato le nostre menti, al punto da rendere innocua se non impossibile alcuna alternativa».
Se è vero che il 3% della popolazione detiene il 90% della ricchezza mondiale, è spontaneo chiedersi come mai non c’è reazione, contestazione, anche in nome di quegli ideali, come il comunismo o il socialismo, che fino a qualche decennio fa facevano immaginare un mondo diverso e possibile?
«Perché siamo stati depredati anche nel nostro essere soggetti desideranti. La soddisfazione del desiderio provoca felicità, appagamento. Oggi desideriamo sì, ma ogni desiderio realizzato ne fa scaturire un altro, secondo quella logica del mercato che ti impone di consumare e consumare, per garantire i profitti di quel 3% globale. Ecco perché anche i ricchi sono infelici».
Allora chi sono e come sono i ricchi del suo spettacolo?
«Sono ricchi che si sono ritirati in una clinica per disintossicarsi, dipendenti come sono, vuoi di sesso, di droga, di soldi, di successo, di visibilità. Forme malate di compensazione allo stress che il loro status di privilegiati infondo impone loro».
Ma c’è una particolarità non da poco in questa clinica.
«Sì, la clinica è una grande navicella spaziale che ruota nello spazio a 400 chilometri dalla terra, che mi sembrava il contenitore ideale di quel desiderare infinito da cui scaturiscono le lacrime dei miei ricchi.
Una forma di turismo spaziale che fino all’altro ieri sembrava pura fantascienza esche invece tra pochi anni sarà realtà: resort spaziali, le nuove Maldive per straricchi super facoltosi in grado di spendere cifre vertiginose per sperimentare i brividi del dormire in mezzo alle stelle».
Anche se, come dice l’astronauta Cristoforetti, citata nelle note che accompagnano lo spettacolo, non c’è poesia nel guardare la terra dallo spazio, se la poesia non te la sei portata da casa.
«Lo spettacolo ci racconta che la gioia la felicità, quello stare bene con se stessi, bisogna costruirsela da sè, non c’è bisogno di andare nello spazio. Einfatti nel finale facciamo intravedere una piccola speranza, una timida rinascita, nel senso che nei personaggi si fa largo la consapevolezza che questo modello economico e sociale non potrà durare a lungo, pena le conseguenza catastrofiche, belliche o naturali, che già si intravedono».