Né pesticidi e neppure frode, sui prosciutti in commercio la Cassazione chiude il caso
Respinto il ricorso presentato dalla Procura dopo l’assoluzione degli imputati. I carabinieri del Nas sequestrarono alla Selva di San Daniele 53 mila cosce
SAN DANIELE. Neppure il cappello normativo europeo, così come evocato dalla Procura di Udine nel ricorso per Cassazione presentato contro la sentenza di assoluzione della “Selva alimentari spa” di San Daniele, è bastato a ribaltare le sorti del procedimento.
Due anni dopo il sequestro di 53.120 cosce di prosciutto, all’esito della perquisizione condotta dai carabinieri del Nas di Udine, sono gli ermellini della terza sezione penale a dichiarare chiusa la vicenda e confermare così l’insussistenza dell’ipotesi di frode in commercio che era stata formulata a carico del legale rappresentante del prosciuttificio, il 79enne Emilio Sassi, residente a Colorno (Parma), del suo direttore, il 37enne Uli Gubiani, di Gemona del Friuli, e, ovviamente, della stessa società, per l’asserita omessa adozione di modelli organizzativi volti a impedire il reato contestato.
A esprimersi per il rigetto del ricorso, in udienza, e aderire piuttosto alle argomentazioni sostenute dal difensore, l’avvocato Maurizio Miculan, era stato lo stesso sostituto procuratore generale. Al centro della discussione, l’uso di insetticidi nei saloni di stagionatura delle cosce di prosciutto. E, quindi, il rischio di contaminazione dei prodotti.
Le analisi, condotte già dalla stessa Selva alimentari, e, a stretto giro di posta, anche in contraddittorio con l’AsuFc, avevano fornito in breve esito negativo, certificando l’infondatezza del pericolo per la salute e consentendo la restituzione dei beni.
«La frode si configura soltanto nel momento in cui venga accertato un comportamento vietato dal disciplinare di produzione dop “Prosciutto di San Daniele”. E visto che il trattamento nei locali non è espressamente vietato, che sia stato fatto o meno poco cambia», ha sostenuto l’avvocato Miculan, partendo dall’evidenza dell’assenza di segni di contaminazione con pesticidi.
Costituitosi in giudizio, il Consorzio del prosciutto di San Daniele, che davanti al giudice monocratico del tribunale di Udine aveva chiesto un risarcimento danni pari a 200 mila euro, non ha presentato conclusioni scritte.
A mettere in moto l’indagine era stata una perquisizione nella sede della “Derat Parma snc”: alcune delle fatture sequestrate riguardavano interventi di disinfezione e disinfestazione alla Selva.
Da qui, l’allarme del Nas che, carte alla mano, aveva calcolato nel periodo compreso tra il primo trattamento del 29 marzo 2019 e quello del 17 settembre 2021, la marchiatura di 277.370 prosciutti, tutti messi in commercio, con l’aggiunta di ulteriori 7.328 pezzi dopo il secondo trattamento.
La Procura aveva inoltre contestato il tentativo di frode in relazione ad altri 53.120 pezzi, che il sequestro del 2 febbraio 2022 aveva appunto evitato.