La ricerca della verità: Giorgio Fontana racconta il mondo di Franz Kafka
«Kafka non era un kafkiano». Una dichiarazione spiazzante, che sovverte ogni certezza nell’anno del centenario dello scrittore. Il pensiero sull’aggettivo fin troppo abusato arriva da Giorgio Fontana, che sarà a Udine oggi alle 17.30 nella Casa della Contadinanza. Un evento a cura della Libreria Moderna, per l’apertura di “Aspettando La Notte dei Lettori”, anteprima itinerante del festival, organizzato dal Comune di Udine, che quest’anno ha per tema il viaggio, come svela la “citazione-omaggio” scelta a simbolo e filo conduttore: «Siamo in ogni caso in viaggio, più che partire non si può». Un’erranza senza meta? Senza una fine, come spesso incompiuta è la scrittura di Kafka?
L’anteprima del festival non poteva che iniziare dentro il nuovo saggio di Giorgio Fontana, edito da Sellerio: Kafka. Un mondo di verità. Verità che si può cogliere solo evitando di deformare l’opera di Kafka. Del resto, le parole pronunciate dal sacerdote nel “Processo” sono già di monito: «Tu non rispetti abbastanza lo scritto e cambi la storia». Fontana ci invita ad abbandonare pregiudizi interpretativi, a non leggere Kafka pensando già che il motore sia sempre e solo la colpa, a non trattare le sue opere come un blocco unico e definito, a non forzare indagini biografiche, coincidenze morbose o approcci invadenti sugli scritti privati, così preziosi.
Il suggerimento allora è quello di sfuggire le trappole e porsi in una condizione aperta, in cui ci sia ancora spazio per lasciarsi sorprendere dalla bellezza della prosa, che possiede l’autorità di un testo sacro, e dalla geniale creatività, concentrandosi sulle opere per coglierne «l’estro stilistico, la potenza simbolica, le finezze di trama». Si tratta di amore, scrive Fontana: «Desidero preservare questo amore – forse non c’è davvero altra parola – unendolo al massimo della cura: ripagare Kafka del debito culturale che abbiamo contratto con lui e del debito personale che provo io da almeno venticinque anni, leggendolo con la mente il più sgombra possibile».
«L’arte di Kafka è difficile, ma non è mai pretenziosa o disonesta». Giorgio Fontana mostra pagine che sono la ricerca della verità. Svela le vibrazioni scaturite da immagini semplici e potenti: castello, processo, villaggio, condanna. E “La condanna” è il racconto che per Kafka possiede una “verità interiore”, scritto in una notte. Notturna è la poetica kafkiana, intrisa di incertezza e dimensione solitaria: aspetti percorsi in modo inedito, non banale e stereotipato. Fontana sorprende l’autore in cantina, su di una scrivania illuminata da una lampada. «La notte è ancora troppo poco notte». E allora scrivere è come un sonno profondo.
Il saggio attraversa l’enigma della scrittura passando in rassegna le tecniche vincenti di Kafka: la focalizzazione “ristretta” al punto di vista del protagonista e alle sue incertezze, la costruzione di personaggi “sottili”, «evanescenti eppure memorabili», la scelta di un nome o di un’entrata in scena, il ritmo e le distorsioni spazio-temporali, i dialoghi sull’abisso, la gestualità, l’amalgama dell’elemento naturalistico con quello fantastico, la purezza e la sobrietà linguistica, l’inattesa comicità e i colpi di scena, come il padre morente che si fa feroce e accusa il figlio condannandolo a morte. E poi la metamorfosi come sventura, l’odio che può scattare verso chi si ama, l’altro come peso, l’arte come nutrimento, la tirannide genitoriale, l’indifferenza della gente di fronte alla tragedia del singolo e un ebraismo non nominato, che si spinge fino al deserto e che ha la Terra promessa nella letteratura.
Vorremmo essere noi quella bambina disperata per la perdita della bambola, a cui Kafka fa pervenire le lettere che hanno per mittente la bambola, da lui scritte non per consolarla, ma per renderle tollerabile il dolore.
E poi c’è la topina, che ha trasformato i versacci in canto, nell’ultimo Kafka. Topina che, nel finale, scompare nell’oblio, nella dimenticanza. E invece no. Siamo qui a scrivere di lei e del suo creatore.