Gli affreschi ritrovati nella pieve matrice delle chiese udinesi
foto da Quotidiani locali
UDINE. L’impegnativo restauro che da anni interessa la chiesa di Santa Maria di Castello, pieve matrice delle chiese udinesi, ha raggiunto un importante traguardo: a fare il punto sullo stato dell’opera un sopralluogo promosso dall’arcivescovo Andrea Bruno Mazzocato e dall’arciprete monsignor Luciano Nobile per una valutazione dei risultati e per ringraziare enti e privati che hanno permesso col loro contributo il recupero degli affreschi dell’abside maggiore e della facciata, Regione, Fondazione Friuli, Solari spa, GLP intellectual property e Fondazione Gruppo Pittini.
L’intervento ha visto all’opera i restauratori Stefano Tracanelli per gli interni e la ditta Esedra in facciata, con la direzione della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio, nel passaggio di consegne tra Simonetta Bonomi e Andrea Pessina, e il coordinamento dei funzionari Elisabetta Francescutti e Annamaria Nicastro, il tutto nel quadro di un più ampio progetto curato da Maria Beatrice Bertone, responsabile del Museo del duomo, e dal progettista Stefano Forte, ai fini della valorizzazione storico- museale dell’antica chiesa.
Complesso e delicato l’intervento nell’abside maggiore che ha anche evidenziato criticità strutturali ora consolidate affrontando problematiche legate a restauri risalenti alla fine degli anni Venti quando del recupero del compendio del castello si occupò Ferdinando Forlati, all’epoca Soprintendente alle opere di antichità e d’arte per il Friuli Venezia Giulia.
Come riferisce Maria Beatrice Bertone, a fronte di evidenti alterazioni e integrazioni incoerenti, si è proceduto dopo attenti studi e indagini a restituire per quanto possibile alla sua originale stesura questa importante testimonianza della pittura di scuola giottesca in Friuli, un vero palinsesto di tre strati: il recente restauro ha interessato nel registro inferiore la Dormitio Virginis e in quello mediano la teoria degli Apostoli, sormontata da un lacerto più tardo raffigurante un’Epifania.
Tale composizione, eseguita prima del terremoto del 1348, risultava poco coerente a causa di scene prive di continuità narrativa che non permettevano la lettura del tema dell’ascensione, con l’animula di Maria culminante nell’Incoronazione della Vergine nella lunetta.
Le pesanti integrazioni dovute al restauro novecentesco, di ispirazione goticheggiante, conferivano un aspetto figurativo disordinato dal punto di vista stilistico. Il restauro di Tracanelli, qui attivo dal 2017 nel recupero del complesso decorativo, ha fatto riemergere, una volta liberato lo strato originale dalle alterazioni moderne e dai rifacimenti, ogni singolo raffinatissimo dettaglio anatomico restituendo la delicata ma ricca policromia originale, come mostriamo in anteprima attraverso la campagna fotografica condotta da Luca Laureati.
Ma se ancora non sarà possibile visitare l’interno della chiesa causa la necessità di ulteriori interventi di messa in sicurezza prima dell’apertura al pubblico che di certo si protrarranno per tutto l’anno, ora il compendio del castello, che vede una sempre più intensa frequentazione di turisti favorita dall’utilizzo dell’ascensore, ora si completa con il ritrovato nitore cinquecentesco della facciata di Santa Maria.
Eretta a partire dal 1526, e scandita dall’elegante portale opera di Bernardino da Morcote (1530), la facciata costituisce un esempio della misura e dell’abilità dei lapicidi lombardi portatori delle nuove istanze rinascimentali.
Sono stati recuperati gli elementi lapidei nel rispetto dei materiali, delle patine del tempo e dei molteplici interventi manutentivi che si sono sovrapposti. La pulitura è stata condotta utilizzando metodologie diversificate a seconda delle situazioni, dopo aver consolidato la struttura interessata da infiltrazioni che compromettevano oltre agli esterni anche gli interni dell’edificio.
Il restauro ha esaltato le varianti dei calcari che sappiamo forniti a Bernardino per la costruzione della facciata da quel “Zuan da Faedis”, figlio di Giovanni di Bergamo noto anche come scalpellino e sodale della fitta compagine dei lombardi specializzati nella lavorazione della pietra attivi in Friuli tra Quattro e Cinquecento.
La gradualità dell’azione di pulitura ha permesso di conservare le labili tracce di un intervento decorativo in corrispondenza dell’architrave del portale, dove la stesura di un filetto di contorno che continua nel rosone centrale con la testa del cherubino, segnala la base per l’applicazione di una foglia d’oro, a testimoniare che anche in quest’opera lapidea l’aggiunta del colore insieme alla scelta di calcari ricchi di rudiste, e dei materiali provenienti dalle Alpi Carniche, denota la sensibilità per gli accostamenti cromatici